“Il buio oltre la siepe” di Harper Lee chiama “Vita breve di un giovane gentiluomo” di Jean Teulé. Un libro chiama l’altro

Harper Lee Jean Teulé - Un libro chiama l'altro

#unlibrochiamalaltro sinapsi letterarie ***

Cos’è la folla oltre la somma delle individualità? Cosa è il pensiero quando perde l’originalità e la responsabilità del singolo? Cosa ne consegue è, forse, sempre tragedia.

Attycus Finch, eroe tragico nel romanzo “Il buio oltre la siepe” dell’ineguagliabile Harper Lee (edizioni Feltrinelli) mi richiama alla mente Alain de Monéys e la sua storia (vera) raccontata in “Vita breve di un giovane gentiluomo da Jean Teulé (edizioni Neri Pozza)

Due libri da leggere, al tempo in cui abitiamo i social media. O meglio, in ogni tempo abitato da esseri umani.

A giugno è ricorso il quarantesimo anniversario del premio Pulitzer per la narrativa a Harper Lee con il “Il buio oltre la siepe”.
Un libro necessario , come definito da Barack Obama, che ben prima di essere il primo presidente nero degli Stati Uniti d’America è stato un community organizer a Chicago, lavorando sull’emancipazione e la presa di coscienza dei propri diritti da parte della comunità afro-americana.

Vero, un libro bello, semplice nella sua bellezza come sanno essere solo i libri capaci di colpire, affondare e far tornare a galla l’umanità profonda e complessa che ci abita e ci muove e ci collega.

Da sempre indicato come un libro da leggere contro ogni forma di discriminazione e razzismo, “Il buio oltre la siepe” mi sembra un universale, godibilissimo, sulla natura umana, sulle divisioni e gli steccati che per nostra natura costruiamo e che, per dinamiche sociali, ingigantiamo fino a istituzionalizzarli scientemente o ad assimilarli inconsciamente arrivando ad abdicare scelleratamente alla nostra capacità critica e morale.

“Il buio oltre la siepe” e le lanterne umane

Esistono delle lanterne umane. Gli Atticus Fynch che incontriamo o manchiamo nelle nostre vite, che sono vigili e accese nella nostra società e che permettono che la loro lucetta arrivi anche a noi per propagazione. E le cinghie di trasmissione luminosa sono spesso le più giovani generazioni. Quello che ascoltano, quello che vedono, quello che non capiscono e le interpretazioni che vengono loro proposte dei fatti sono, in gran parte, ciò che in una società fa la differenza per il presente e per il futuro.

La piccola Scout Fynch è colei che, insieme al fratello Jem, nel romanzo di Harper Lee raccoglie la fiammella di una lanterna “gigante” che è il suo papà Atticus Finch. Avvocato. Rispettatissimo avvocato a Maycomb, città “vecchia e stanca” nel profondo Sud degli Stati Uniti d’America, che si ritrova l’intera comunità contro per aver accettato di assumere la difesa di Tom Robinson, giovane dalla pelle nera accusato di stupro da una giovane dalla pelle bianca. Una figura che mi fa venir voglia retroattiva di fare l’avvocato. Per la sua interpretazione della professione e la sua pratica. Leggere per credere.

Il libro è superlativo da numerosi punti di vista e profondamente emozionante, ma è della sinapsi inaspettata che mi ha attivato che vorrei parlare. Partiamo della scampata aggressione ad Attycus da parte di un manipolo di cittadini di Maycomb, a cui i figli si trovano ad assistere.

In particolare, la figlia Scout “sventa” l’aggressione riconoscendo tra gli aggressori il signor Cunningham, il papà di un suo compagno di scuola. Candidamente identificandosi come “la compagna di scuola e colazioni di suo figlio Walter” getta in crisi d’identità l’aggressore. (Sono il papà di Walter, amico di Scout, figlia di Attycus e sono qui l’aggressore, ciecamente arrabbiato con Attycus!).
Quando, il giorno seguente, la bambina stupita chiede al padre come sia possibile che tra gli assalitori ci fosse l’amico di famiglia ed estimatore di Attycus, il signor Cunningham, la risposta di Attycus è un trattato di antropologia e misericordia, che forse è l’unico binomio che ci salverà dal baratro.

Scout “Credevo che il signor Cunningham fosse un nostro amico: tanto tempo fa mi hai detto che lo era”.

Attycus “E lo è ancora!”
S “Però stanotte voleva… farti del male”

A “Il signor C. È un brav’uomo, ma come tutti noi ha le sue debolezze”.
Jem (fratello di S.) “Non chiamarla debolezza. Quando è arrivato alla prigione stanotte ti avrebbe persino ucciso”.

A “Avrebbe potuto farmi qualcosa, ma figliuolo quando sarai più grande capirai un po’ meglio la gente. Una folla è fatta di individui, quali che siano. Stanotte C. faceva parte di una folla ma era pur sempre un uomo. Come tutte le folle di tutte le piccole città del Sud, anche quella di Maycomb è fatta di uomini che conosciamo… anche se ciò non li scusa, ti pare?”.

J “Direi di no”

A “E infatti c’è voluta nientemeno che una bambina di otto anni per farli tornare in sé!” “Ciò dimostra che anche una banda di bruti può essere fermata semplicemente perché son pur sempre esseri umani. Chissà forse avremmo bisogno di una polizia composta di bambini. Voi ragazzi stanotte siete riusciti a far sì che W. C. si mettesse nei miei panni per un attimo, e ciò è bastato”.

La risposta di Attycus racchiude la chiave antica dei nostri misteri di grandezza e redenzione, non importa in quale pozzo di bassezza siamo andati a cadere, nelle azioni, nelle opere e nelle omissioni. La chiave è l’empatia e soprattutto ciò che ne consegue. Chiave di volta, in questi tempi di profonda violenza verbale a cui non raramente fa seguito violenza fisica e di cui la sfera social sembra ergersi ad arena senza confini. Arena in cui siamo immersi che promette interconnessioni e, bolla su bolla, finisce talvolta per edificare muri.

Leggendo questo passaggio, il richiamo a ciò che succede in quelle dinamiche che fanno dei social una sorta di violenta cloaca sociale è stato pressoché immediato, insieme al richiamo di un libro precedentemente letto, meno celebre de “il Buio oltre la siepe, ma comunque un piccolo capolavoro (nel suo genere). Se fossi un’insegnante proprio in questi anni ne farei un testo di lettura obbligata.

“Il buio oltre la siepe” di Harper Lee chiama “Vita breve di un giovane gentiluomo” di Jean Teulé

“Vita breve di un giovane gentiluomo”
Mangez-le si vous voulez

“Il buio oltre la siepe” mi ha chiamato alla mente “Vita breve di un giovane gentiluomo” di J. Teulé, edito in Italia nel 2011 da Neri Pozza, dal titolo originale molto più appropriato (come quasi sempre succede con i titoli originali) “Mangez- le si vous voulez”, ovvero “Mangiatelo se volete”. Crudo quanto la storia reale che racconta.

La giornata del 16 agosto 1870 per Alain de Monnéys è davvero una giornata campale. Esce di casa da stimato cittadino e benvoluto vicesindaco di Bessauc nel Perigord francese, e non vi farà mai ritorno perché letteralmente mangiato dalla folla dei suoi concittadini.
Scrittura superba in una cronaca che sembra sempre sull’orlo di provocare un sorriso, se non fosse che esplode a un certo punto in un vero delirio tragico.
Alla base del rivolgimento del sentimento popolare verso il giovane Alain, una voce diffusasi tra la folla (mi verrebbe da dire in rete, ma ops siamo nel 1870) di una sua defezione a favore dell’esercito prussiano (contro cui si era arruolato) e di atti di conclamata infedeltà all’imperatore. Voci. Non verificate. Che il lettore sa essere false. Ma impotente, come il protagonista, assiste al montare della rabbia cieca (ma è poi rabbia la parola giusta?) della folla e alla sua azione violenta e omicida fino a sfociare in episodi di vero e proprio cannibalismo.

Mangez-le si vous volez” è l’invito provocatorio del semi-attonito sindaco, che viene preso alla lettera dai suoi concittadini in un vortice di inspiegabile violenza e follia omicida. Talmente inspiegabile che durante il processo, che vedrà pochi tra i facinorosi sul banco deli imputati (usiamo facinorosi solo convenzionalmente perché si fa fatica a trovare parole adatte al caso), uno tra loro dirà forse l’unica verità plausibile “Non so cosa mi sia preso”.

Su questo non sapere, e su quello che ci prende quando ci alieniamo da noi stessi – e dagli altri che poi è solo l’altra faccia della medaglia del fenomeno – si giocano le sorti dei singoli che ci passano accanto e del mondo intero, sui social e nelle nostre realissime giornate.

Pensiamoci. E se può aiutare leggiamo e facciamo leggere questi due libri, necessariamente sconvolgenti.

Non riuscirai mai a capire le persone…

PS: “Il buio oltre la siepe” mi è stato regalato da una tra le persone che più stimo, mia amica e al tempo collega. Nella sua dedica il senso.

“…non riuscirai mai a capire le persone se non ti metterai nei loro panni e proverai a vedere le cose dal loro punto di vista…”

con grandissimo affetto

Maria

#unlibrochiamalatro
sinapsi letterarie
è la rubrica Coffee N’Roses dedicata alla lettura e a quello strano, personalissimo processo per cui leggendo un libro te ne torna alla mente un altro.

Queste sono le sinapsi letterarie di Chiara B. (me medesima), incontrollabili dalla stessa autrice e perciò insindacabili.

Pensieri apocalittici e disintegrati da questo isolamento

In questi giorni come in un rigurgito universitario mi tornano in mente  la Scuola di Francoforte, la società del consumo e l’individuo eterodiretto.  Dal mio divano, sul quale staziono fino a data da destinarsi (quando non sono alla scrivania).

My quarantine

Strane associazioni in un periodo in cui la sfera del moriniano loisir è decisamente compressa.

Eppure questo magone insieme a una sensazione di profonda lucidità mi si è installato dentro, da qualche parte tra il cervello, il cuore e lo spirito fin da subito.
Per settimane non ho trovato le parole per descrivere questa quarantena. Tuttavia da subito mi ha colpita un’impressione forte di qualcosa che non riuscivo a ben rappresentare. E probabilmente non ci riuscirò neanche ora, perché la avverto intimamente connessa a uno stato di silenzio necessario.
Probabilmente è stato proprio il silenzio, il grande assente, a colpirmi.

Il vuoto a fronte di questo pieno forzoso, che ci assale da ogni dove, da ogni dispositivo lasciato acceso. Come una spia a intermittenza continua dentro di noi che, angosciosa, ci chiede se mai potremmo veramente, seriamente spegnere il nostro smartphone, senza fare finta, senza continuare a essere scansionati finanche nel sonno.

Il mio bisogno primario al momento sembra essere il silenzio, e mi trovo a pensare a quanto buffa sia questa situazione, in cui proprio in tempo di isolamento il silenzio è merce tanto rara.

“Così poco abili anche noi a non dubitare mai di una libertà indecente”*

Siamo diventati consumatori talmente abili da incanalare la nostra intera vita nei parametri del consumo. I social media, per quanto io non sia un’apocalittica, ci danno in questo una grossa mano. E proprio in questo periodo lo vedo con grande chiarezza, come dato di esperienza sociale, ben oltre ogni teoria dei media.

Siamo diventati consumatori talmente abili da vivere consumando la nostra stessa immagine attraverso gli occhi degli altri. I social hanno tanti, indubbi meriti, ma questo grande e grave demerito. Aver perfezionato il modello del consumo dei media di massa.
Mi ritorna così alla memoria la mia amata Scuola di Francoforte – non per ferree argomentazioni e teoria sistemica, la configurazione delle mia memoria lo impedisce – con il suo consumatore perfetto, espressione dell’antropologia moderna.

Ho come l’impressione che abbiamo necessità di consumare anche noi stessi per essere. Siamo soggetti fortemente oggettivizzati, per nostra stessa condotta. Il consumo è sostanzialmente il conduttore di molecole di ossigeno nella nostra bolla. Le molecole del senso si aggregano attraverso dinamiche di consumo. I consumi nella nostra bolla, di contenuto, di immagini, di proiezioni, di mi piace, non mi piace e vedi anche, ci legittimano a “restare nella bolla” e ci dicono sostanzialmente chi siamo attraverso l’elaborazione algoritmica e il feedback spesso frettoloso – ma più rilevante di quello che ammetteremmo a noi stessi – di altri.

Non più aspiranti consumatori di massa, consumiamo la nostra stessa bolla, di essa ci nutriamo con i mi piace che diamo e quelli che riceviamo, in un meccanismo di costruzione di identità quanto mai eterodiretto, che in maniera predittiva suggerisce e conferma il consumatore che siamo. Il tutto mentre siamo comodamente seduti (?) sdraiati (?) al bivacco spinto (?) sul divano di casa, fino a data da destinarsi.

“Voglio trovare un senso a questa condizione, anche se questa condizione un senso non ce l’ha”**

Perché tutto questo mi salga fortemente alla mente in questi giorni, resta in parte da decifrare, ma come  sempre è più per un’intuizione che per un ragionamento ben organizzato.

C’è un tale rumore in questi giorni, il lavoro che ha preso accelerate inimmaginabili, le dirette, i corsi gratuiti, le offerte di qualsiasi cosa e forma per scongiurare la nostra fuoriuscita dalla bolla e la noia. 

La nostra santa, sacrosanta noia di uomini liberi pur se soggetti a misure di isolamento forzato. 

Sappiamo vivere senza consumare? O meglio sappiamo dire chi siamo senza consumare o offrici in pasto al consumo di altri?

Sappiamo “stare”, senza perderci, quando non possiamo affidare alle dinamiche del consumo il veicolo della nostra identità? In queste settimane l’eco di queste domande è molto profonda, e forse un po’ subdola.
La mia personale risposta è “non ne sono molto sicura”.

Siamo intrisi del principio della prestazione, anche in questo tempo.  “Come stai vivendo questa quarantena?” “Cosa stai facendo per non sprecare questo tempo che cause di forza maggiore sembrano spingerti a perdere?”

Tornando a Morin e alla sua etica del loisir – semplificando, per l’uomo moderno non è il lavoro, in quanto produzione a definire l’identità ma il consumo di momenti ludici e ricreativi (loisir) – mi sembra che si stia consumando un cortocircuito tragico. E che la condizione che alcuni gruppi sociali vivono in queste settimane di lockdown faccia da cassa di risonanza perfetta, pur se con una certa discrezione (io stessa mi percepisco qui).

Siamo diventati i consumatori perfetti, perché la sfera della produzione e del consumo tendono a coincidere.

Il nostro tempo del loisir è sempre più sovrapposto a quello del lavoro, almeno per i lavori più fortemente collegati alla sfera della conoscenza. E’ un nuovo “spirito del tempo”, in cui ancora una volta i media da determinati sono diventati determinanti, influenzando il nostro modo di essere, laddove un mutamento tecnologico spinge verso una trasformazione culturale e sociale, azzarderei antropologica. 

Così i “divi hollywoodiani” che consumavamo negli anni dei mass media, rischiano di diventare i nostri ego, in questa vanagloria social che senza soluzione di continuità ci traghetta  nel nostro tempo e spazio virtuale, dal lavoro al tempo libero e rimbalzo.

“Da ciceronessa che spiega com’è bella com’è bella sé stessa”***

Sarà questa situazione estrema che mi spinge verso orizzonti estremi, sarà che ieri ho visto “The Great Hack” (il necessario documentario sull’affare Facebook e  Cambridge Analitica). Ma nella dinamica del consumo uomo – oggetto, mi sembra di vedere un rischio dilagante per cui il secondo termine della relazione possa diventare il – se stesso di ciascuno di noi, e in qualche modo cannibalizzarci. 

I dati che tu produci (in questa infoperformance collettiva e senza tregua, ndr) come un boomerang, possono determinare la persona che diventerai, a prescindere dalla tua volontà, concludeva David Carroll, in The Great Hack.

Perché tutto questo mi venga in mente nel 40qualcosesimo giorno di quarantena, in regime di virtualizzazione spinta delle relazioni, esattamente non so. Ma un’intuizione, disordinata come da mia natura, mi guida. 

—-

*”Cercami”, Renato Zero
**”Un senso”, Vasco Rossi
***”Mi riposa”, Lucio Battisti

Alcune letture di ispirazione in ordine sparso (edit 30 aprile)

Psicologia dei nuovi media di Giuseppe Riva (ed. Il Mulino)
La libertà ritrovata di Franck Schirrmacher (ed. Codice)
Lo spirito del tempo di Edgar Morin (in italiano ed. Meltemi)
L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse (ed. Einaudi)
WE, The City. Intelligenze civiche nella smart city (mio piccolo studio in cui ho condensato un po’ di spunti, qui: www.slideshare.net/ChiaraBuongiovanni/we-the-city-intelligenze-civiche-nella-smart-city)

In lettura
Accelerazione e alienazione di Hartmut Rosa (ed. Einaudi)
L’abisso dei social media. Nuove reti oltre l’economia dei like di Geert Lovink (ed Università Bocconi)

Suggeriti da voi
Minimalismo digitale. Rimettere a fuoco la propria vita in un mondo pieno di distrazioni di Cal Newport (ed. ROI) – Grazie Diara Diallo (via Facebook)
Avere o essere di Erich Fromm (ed. Mondadori) – Grazie Sergio Monetta (commento in diretta)
(…) vostri suggerimenti di lettura per assonanza di temi o per associazioni di idee, sono benvenuti!