Vorrei che … “sosemeglie”

Buon Natale 2023

Mia nonna, nei suoi ultimi giorni, a letto, alternava momenti di lamento profondo per i dolori, a sonno comatoso, a racconti di ricordi ispiratissimi.

I ricordi che mia nonna raccontava riguardavano una vita di 96 anni e qualche mese, iniziata negli anni ’20 del secolo scorso, in un piccolo paese della provincia di Frosinone, il mio, in una famiglia composta da un padre medico “condotto” (come sempre sentivo dire da lei), una mamma dal carattere di una “battagliera” (la mia longeva bisnonna di oltre 20 anni più giovane del marito) e già due sorelle e un fratello ad aspettarla, mentre un altro fratello sarebbe arrivato due anni dopo di lei.

Tutti i fratelli sono sempre stati un elemento centrale nei racconti di mia nonna, rimasta orfana di padre all’età di 4 anni. “Fratone” il suo fratello maggiore, medico poi emigrato negli Stati Uniti e il suo fratello più piccolo, amatissimo, morto prematuramente. Ma ho sempre pensato che i super -poteri di mia nonna fossero le sue sorelle maggiori, “le sorelle” come le chiamava, diversissime da lei, e in particolare una delle due, “la sorella” (mia nonna anche lei), con cui ha vissuto insieme tutta la vita, avendo sposato a loro volta due fratelli (motivo per cui io ho avuto quattro nonni materni di fatto e, al netto della difficoltà a spiegare l’albero genealogico, ho sempre considerato questo un gran bel regalo che la vita mi ha fatto).

Più o meno adolescente, mia nonna, sola tra le sorelle, è stata mandata a studiare a Perugia, in un collegio statale per orfani di medici, sezione femminile.
Del suo tempo a Perugia, mia nonna mi raccontava con estrema precisione di particolari, i nomi e l’aspetto delle sue amichette, le dinamiche in classe, le materie e gli argomenti che le davano ansia e i modi che trovavano per superarle, i loro giochi con niente, l’acqua ghiacciata che usavano per lavarsi la mattina, l’inventiva per far bastare beni di prima necessità che scarseggiavano anche nel collegio. Mi raccontava, senza mai dirlo (mia nonna non parlava direi mai di sentimenti né di emozioni) la solitudine di una bambina, in un posto freddo, severo e lontano dalle sua famiglia ma soprattutto dalle sue sorelle. Mi raccontava che a Natale e a Pasqua le ragazzine che abitavano più lontano, non tornavano a casa.

Quando stava per morire, un giorno in particolare mia nonna ha fatto una selezione di ricordi, mi ha raccontato solo le cose belle della sua vita, e quasi tutte erano legate all’infanzia . E avevo l’impressione che non le stava raccontando a me, le stava “vedendo” e toccando, incontrando di nuovo. Lo posso dire dalla luce dei suoi occhi e dalle lacrime di gratitudine che ho visto scendere sulle sue guance, rimaste sempre tondette come quelle di una bambina.

In particolare, quando mi raccontava del Natale, nel collegio di Perugia con le poche altre bambine che come lei non tornavano a casa. All’improvviso ha spalancato gli occhi e ha esclamato, con quella sua giustapposizione, tipica di italiano e dialetto: “I sosemeglie! Quando arrivavano i sosemeglie!“, come se fosse il giorno più bello della sua vita. “Le sorelle mi mandavano il pacco co’ gli sosemeglie. La direttrice mi chiamava “Valente”, e io lo andavo a prendere. Era il pacco co’ gli sosemeglie di Natale! Le sorelle lo legavano con un fiocco, di spago. Io lo prendevo, lo portavo in camera, lo aprivo e davo subito uno a Maria (la sua amica del cuore, ndr), uno me lo mangiavo e poi li conservavo“.
Mentre parlava, muoveva le mani per toccare il pacco, per sciogliere il fiocco, e per conservare il primo sosemeglio sul cuore.

Io un amore così invisibile e così profondo, nel tempo e nello spazio dei mondi, non so se l’ho mai rivisto.
Ma questo, di certo, è l’augurio che vorrei fare per Natale.

Questa gratitudine e questa forza di navigare i secoli, che viene dalla capacità di vedere “oltre” il visibile.
Oltre un pacco di sosemeglie, legato da un fiocco di spago, tutto l’Amore che c’è.

mia nonna [Coreno Ausonio (FR), 1926 – 2021]

Tra le cose più incredibili a cui ho assistito fin qui, citerei gli ultimi giorni di vita di mia nonna. Ho visto la grazia di chi sta per lasciare questa vita per andare non so dove, e ho visto gli occhi spalancati e illuminati, di chi (ri)vede davanti quello che è stato indietro. Ci sono sguardi che vedono quello che ancora non è perché già lo hanno visto, e ho l’impressione che questo miracolo sia l’esperienza dell’amore su questa terra.

buon Natale 2023

ChiaraB.

#paroledimemoria gli sosemeglie“: biscotti natalizi della tradizione corenese.
Sulla ricetta di questi biscotti, abbiamo bisogno di aiuto. So che sono biscotti duri, fatti con miele, noci e a volte cioccolato. Grazie a chi ci aiuterà a essere più precisi!

Cosa sono le #paroledimemoria e tutte quelle incontrate fin qi le trovi nella categoria “Parole di memoria

Parole di memoria, direzione futuro.

Parole di memoria

Riflessioni sul ruolo del dialetto per identità in transizione*.

Transizioni e identità

Viviamo un tempo di transizioni, siano esse processi naturali e culturali “de facto” o “programmi” politicamente disegnati e finanziati.

Pensiamo agli stravolgimenti geologici, per cui si parla della nostra come dell’era dell’Antropocene, in cui l’essere umano con le sue attività è arrivato a incidere sul livello territoriale, strutturale e climatico. Pensiamo alla transizione a cui il Covid e post-Covid ci ha condotti, e pensiamo al terremoto geo-politico ed energetico che la conclamata emergenza climatica sta sollecitando da anni e di cui la guerra, che si consuma su suolo ucraino, ha accelerato gli impatti, ormai in atterraggio violento sulle economie reali dei nostri territori. Pensiamo infine alle grandi trasizioni europee, cd transizioni gemelle, verde e digitale, la cui piena realizzazione, nella visione di Bruxelles, è prerogativa di futuro per lo stessso progetto di Unione europea. Dare “piena realizzazione” a tale transizione implica renderla inclusiva e giusta, preservando dallo scotto del cambiamento sistemico i territori meno preparati al grande salto della digitalizzazione e della neutralità climatica su ampia scala, ovvero ad azzerare l’impatto ambientale da qui al 2050 attraverso la trasformazione di sistemi produttivi, filiere di distribuzione e consumo, stili di vita. Come cambia l’uomo in questo monumentale transitare? Come cambia il sentire la comunità come “propria” e se stesso come parte di una comunità? Che confini ha la comunità dell’uomo delle transizioni? E dove àncora la sua identità? Quali parole la descrivono, la evocano, permettono di riconoscersi ancora simile ad altri, all’interno di un perimetro geografico-culturale? Che valenza ha il territorio nell’accompagnare il singolo e la comunità nella “dovuta” transizione, se è vero che la trasformazione dei contesti, prima che da risorse pubbliche o investimenti privati, passa dalle aspirazioni degli abitanti e dal loro ruolo attivo e in una qualche misura imprenditivo? (Venturi, Zandonai 2019) Domande enormi, a cui tante analisi e punti di vista arrivano a proporre “pezzi”, si spera integrati, di prospettiva. La nostra prospettiva parte da un territorio del basso Lazio e dal suo dialetto, con l’inizativa in erba “Parole di memoria”. Un progretto piccolo, familiare quasi, con un respiro che aspira alla profondità delle radici di cui si nutre.

Parole di memoria, recuperare nel dialetto tracce di identità

“Parole di memoria” nasce da una domanda in parte controintuitiva in tempo di transizione. Si prefigge infatti di usare le parole del dialetto e il loro ancoraggio fisico, quasi il loro manifestarsi visivamente nei luoghi reali del territorio, per contribuire a spostare la riflessione dal più urgente “dove stiamo andando”, al più lento “da dove veniamo” ovvero “quale antropologia stiamo lasciando dietro di noi”. La consapevolezza della memoria ci regala la libertà di scegliere cosa portare verso il nuovo mondo. Una transizione libera ha in sé un esercizio di tradizione, nel senso etimologico del termine, del “trasmettere”, per poter conservare ciò a cui si riconosce un valore, attraverso un esercizio di memoria e di narrazione che usi la lingua che più di altre ha dato forma all’identità territoriale e comunitaria nel tempo e nello spazio: il dialetto. In questo senso abbiamo scelto di interrogare le parole della piccola storia del nostro paese: le Parole di memoria di Coreno Ausonio (FR). “Passeggiare e pensare in natura attraverso le stagioni. Spesso lo faccio in compagnia di mio padre e nel camminare seminiamo memoria, per chi vorrà raccoglierla. Siamo a Coreno Ausonio, accovacciati tra i monti Aurunci, affacciati sul golfo di Gaeta, a 318 metri sul livello del mare, in provincia di Frosinone. Qui è passata la Storia attraverso i secoli, ha fatto sosta la Seconda Guerra Mondiale, lasciando il tracciato della Linea Gustav con il suo sangue, il suo dolore e le storie indelebili. Ogni volta che camminiamo incontriamo delle parole, pezzetti di storie che ricomponiamo, pezzetti di noi”.

“Parole di memoria” sono dei video in cui raccogliamo, dalla memoria di mio padre (classe 1944), le parole in dialetto, cerchiamo di spiegarne il significato e raccontiamo le tradizioni e le storie della comunità corenese e della civiltà rurale che a quelle parole sono collegate. Le Parole di memoria vengono fuori quasi “spontaneamente” mentre camminiamo, un po’ come la stramma, come gliu ventriscu (lentisco) e come le scocciacannate (ciclamini) ai bordi della strada. Sono le parole in dialetto che “descrivono le cose” e al tempo stesso “raccontano la storia” della nostra comunità e dei luoghi in cui questa storia ha preso forma. Riguardano gli eventi belli, la vita di tutti i giorni e le tragedie familiari e universali di cui siamo stati testimoni, anche attraverso i nostri antenati. Attraverso le Parole di memoria recuperiamo non solo la memoria storica e culturale del paese ma anche antropologica, ovvero lasciamo che emerga “l’umanità” che nella comunità si alimentava in modo quasi viscerale, come a definire il dna dei corenesi. Ci piacerebbe che fosse un racconto non solo evocativo ma, nel suo piccolo, generativo di piccoli semi di memoria ma anche di futuro: di quello che siamo stati, che in parte siamo ancora e che possiamo scegliere di tornare a essere, pur nelle forme e nei ritmi della nostra contemporaneità.

Il dialetto di Coreno Ausonio, chiedere ai luoghi “chi sémo”?

“Parole di memoria” raccoglie schegge di dialetto corenese, ritrovate camminando nella campagna e tra le strade del nostro paese che “non è” provincia di Caserta, “non è” Ciociaria, “non è” provincia di mare (Latina), ma confina con le tre aree e nel suo dialetto ne riceve gli influssi, sia in termini morfosintattici che lessicali e fonetici, nonché di codici extralinguistici. Coreno Ausonio ha infatti una forte identità dialettale, legata a un certo attaccamento a tradizioni e cultura di appartenenza, queste ultime simili eppure diverse e specifiche rispetto ai paesi confinanti. Questo fa sì che il “corenese” sia percepito un po’ come una seconda lingua, secondo un modello diglottico. Interessante notare come, sia a livello familiare che comunitario, si stia sviluppando una sorta di semi – dialettofonia di ritorno, collegata a un rinnovato interesse culturale per tutto ciò che è più puramente “corenese”. Interessante anche notare come lo status di prestigio palese e celato legato al dialetto si sia nel tempo di una generazione quasi sovvertito. Se nell’infanzia parlare in dialetto era in qualche modo censurato e collegato più o meno implicitamente a variazioni diastratiche, nella situazione attuale c’è un vero e proprio “ritorno a casa” nell’uso del dialetto, percepito dall’intera comunità sia a livello generazionale che sociale.

Nel nostro piccolo, con i video “Parole di memoria” cerchiamo di mantenere viva la memoria per saper riconoscere le nostre radici e per non perderle. Attraverso le parole del dialetto recuperiamo i ricordi e l’identità del territorio, che è anche la nostra. Mi piace richiamare il fatto che i greci avessero due termini per il ricordo: mneme e anamnesis, il primo per indicare il ricordo come ciò che appare, il secondo come oggetto di una ricerca, di una reminiscenza. Ma, in fondo, il senso del camminare nel ricordo è sempre proprio del soggetto, di chi cercando il “cosa”, attraverso il “come”, incontra il “chi”, ovvero “se stesso”, sia esso un “sé” individuale o collettivo: dal ricordo alla memoria riflessiva attraverso la reminiscenza. (Ricouer 2003)

L’uomo transitante e il patrimonio linguistico di una comunità

La tesi che si vuole suggerire nasce da un’osservazione sorta nel camminare tra le strade del territorio, prendendo atto di come il territorio sia un’entità “parlante”. Che lingua parla il territorio? Dove sono fisicamente collocate e reperibili le parole del territorio? Che cosa racconta attraverso le sue parole? Cosa tramanda? Cosa dovremmo saper ascoltare, per muovere con identità libera attraverso le transizioni del nostro tempo, di cui siamo soggetti attivi e critici, ma a cui rischiamo parzialmente di andar soggetti? La lingua, come la sociolinguistica ci insegna, non ha sola funzione pragmatica, ma ha anche l’aspirazione di conferire identità sociale e riconoscimento comunitario al parlante. Cosi le sue varietà ci permettono di comunicare chi siamo e di rendere le nostre scelte linguistiche pieno strumento di consapevolezza ed espressione del sé. (Santipolo 2022) Riacquistare conoscenza del dialetto e competenza comunicativa sembra essere un atto libero di resistenza e immaginazione culturale per i nostri territori. Linguisticamente parlando, un territorio dovrebbe poter conservare memoria di sé attraverso la lingua che ne racconta non solo l’evoluzione culturale, ma anche le radici antropologiche. La pregnanza del dialetto è nel descrivere e nel definire cose che, se anche non esistono nel presente, informano il nostro codice genetico socio-culturale e identitario. In questo le Parole di memoria hanno la capacità di rievocare e riattivare esperienze di riconoscimento e immaginazione, per il presente e per il futuro.

Riferimenti bibliografici

RICOEUR P. (2003), La memoria, la storia, l’oblio Raffaello Cortina Editore, Milano.
SANTIPOLO M. (2022), Educazione e politica linguistica. Teoria e pratica, Bulzoni Editore, Roma.
VENTURI P., ZANDONAI F. (2019) DOVE. La dimensione di luogo che ricompone impresa e società, Edizioni Egea, Milano.

  • articolo pubblicato in Saperi Territorializzati, giugno 2023

Quando si nasceva, quando si moriva. Gliu cònsoglio e altre Parole di memoria a Coreno Ausonio (FR)

La nascita e la morte sono i due momenti che rendono “possibile” l’esistenza dell’individuo. Dalle parole legate ai riturali e alle tradizioni che accompagnano il nascere e il morire, possiamo comprendere quanto l’individuo era legato nella tradizione rurale alla comunità. Ne era infatti parte integrante, nella gioia e nel dolore.

Parole di memoria, la vita e la morte, le tradizioni a Coreno Ausonio

Un po’ di comunità nasceva e moriva con ciascuno dei suoi membri, eppure attraverso la solidarietà e il mutuo aiuto si compiva in qualche modo un piccolo, profondo miracolo di rinascita e resilienza. Ogni volta che si nasceva, ogni volta che si moriva.

Parole di memoria. Febbraio 2023 , Località: Curthi Coreno Ausonio (FR)
[riprese Sergio Monetta; starring Tonino aka mio padre, con la partecipazione di Antonio Parente]

Qui il racconto delle tradizioni legate alla nascita e alla morte a Coreno Ausonio, il nostro piccolo paese in provincia di Frosinone, nella parole di memoria di Antonio (Tonino) Buongiovanni, mio padre, classe 1944.

Parole di memoria è un format che ho ideato e realizzato perché credo che le parole parlino di noi e che il nostro dialetto ci restituisca le radici e un po’ di ciò che siamo”.
Chiara B.

Parole di memoria, la rubrichetta sul dialetto e le tradizioni

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Parole di memoria, piccola rubrica. Nel dialetto l’identità del territorio

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Parole di memoria è la rubrichetta dedicata alle camminate in natura, con mio padre, e alle espressioni del nostro dialetto che incontriamo.

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