“L’acqua del lago non è mai dolce” chiama “Ricordi della mia inesistenza”. Un libro chiama l’altro

Copertina Caminiti Solint

#unlibrochiamalaltro sinapsi letterarie ***

Volevo scrivere de “L’acqua del lago (che) non è mai dolce” ma poi ho incontrato Rebecca Solnit e i suoi “Ricordi di inesistenza”

Quanti modi abbiamo di diventare noi stesse: tanti e probabilmente nessuno troppo facile.
Quanto conta il posto dove siamo, quello dove scegliamo di andare o di stare nel periodo della muta, che dura anni o decenni o forse tutta la vita.
Di certo c’è un tempo, un modo e un luogo in cui decidiamo, non chi voler essere ma a quale lato di noi dare un’opportunità, quale coltivare, quale far crescere per poi in un tempo futuro andare a raccogliere la restante parte, missione quest’ultima altrettanto avvincente.

C’è un tempo nella nostra vita in cui saremo integre, ma in quello che io chiamo il tempo della muta ci centriamo su una parte di noi stesse che noi eleggiamo a nostro centro, da cui la nostra evoluzione prenderà forza energia propulsiva per il resto della nostra vita (con i nostri inevitabili stop and go).
Una specie di centro karmico se volete, il nostro Io, quella particolare combinazione di neuroni, cellule ed emozioni che darà la direzione alla nostra evoluzione di donne. E ci sono posti in cui consapevoli ci dirigiamo e a volta stanziamo che assistono al travaglio, fino al parto di noi stesse. Perché qui parliamo di donne e di un “moto” a noi stesse. Alla nostra identità situata.

Essere una donna è una discriminante? Si lo è


Lo è stata per le generazioni precedenti alla nostra, e lo è oggi, su intensità e passaggi diversi, forse, o forse neanche troppo diversi. E’ giusto che lo sia, perché siamo diverse, il punto è capire in che modo. Se a modo nostro o no.

Cosa succede in questo tempo, in questo luogo, in questo moto è il centro di due storie che senza volere si sono sovrapposte nelle mie letture recenti ( e nelle mie sinapsi letterarie).

Una rossa Gaia in “L’acqua del lago non è mai dolce”, di Giulia Caminito (tra i candidati Premio Strega 2021, edito da Bompiani) e un’immensa Rebecca in “Ricordi della mia inesistenza” Rebecca Solnit (edizioni Ponte alle Grazie).

L'acqua del lago non è mai dolceRicordi della mia inesistenza

Gaia, e l’acqua del lago che non è mai dolce

In “L’acqua del lago non è mai dolce”, una bambina, poi adolescente, poi giovane adulta si muove tra Roma e la sua provincia, nello specifico Anguillara Sabazia e i borghi attorno al lago di Bracciano, alla ricerca sofferta e rabbiosa di sé. Interessante per me la vicinanza dei luoghi alla mia residenza attuale e l’impenetrabilità del personaggio, piuttosto monolitico e ostinato, da apparire quasi monodimensionale pur lasciando intuire spiragli di dolore e debolezza profondissima. Incapacità di leggersi e di tradursi, di offrirsi all’esterno, nelle amicizie, negli amori, seppur adolescenziali, nelle passioni, praticamente inesistenti. Un personaggio che mi piacerebbe interpretare teatralmente, per il non detto e per quanto si può di questa rossa intuire dalla sua apparente non relazione con gli elementi del contesto: dalla famiglia, disperata ma ostinata nella sua sopravvivenza a conduzione matriarcale, alle amiche del cuore, alleate strumentali alla sopravvivenza, agli amori costruiti e a quelli – suo malgrado – impossibili da reprimere, grimaldello della sua identità.

Rebecca, e i ricordi di inesistenza di tutte noi che poi abbiamo scelto di esistere

Rebecca Solnit racconta se stessa, negli anni dell’esplorazione di sé e della scoperta e della formazione di questo pensiero coraggioso, dissacrante e profondamente innovativo, che si dispiega e si forma nei ”Ricordi della mia inesistenza”.
Per me qui il sottotitolo è “Storia di una libertà”. Non nasciamo libere, ma lo diventiamo. Per alcuni è più difficile,. Per le donne il percorso verso la libertà personale ha più ostacoli, che si aggiungono a quelli sacrosanti che ciascuna persona, a prescindere dal genere ha.
Attraverso i suoi ricordi Rebecca Solnit ci racconta come è arrivata a fare il lavoro di giornalista, saggista, intellettuale, documentarista che fa e soprattutto come è arrivata a farlo nel modo che è suo, che le appartiene. Come è diventata la donna che è: viaggiatrice, pensatrice, ironica, acutissima, con le relazioni che ha scelto di avere e quelle che non ha voluto sedimentare.
Nel farlo ci racconta la San Francisco degli anni ’70 fino a quella degli anni ’90, vissuta in prima persona tra i centri culturali d’avanguardia e i movimenti per i diritti civili, lontano dal presidio della cultura più intrisa di occidente che nella Est Coast sembrava strizzare l’occhiolino all’Europa.
Nel raccontare il suo lavoro di ricerca sulle comunità artistiche degli anni ‘50 ci racconta pezzi di storia che spesso mancano alla narrativa sulla mitica West Coast, e portandoci nei suoi viaggi nel deserto del Nevada e o al Sud nel Mexico ci racconta una battaglia ambientalista attraverso uno sguardo pionieristico e genuinamente alternativo.

La sua storia è la lettura immersiva ed esperienziale di un contesto in fermento con gli occhi profondamente intelligenti di una donna, che diventa femminista per presa di coscienza.

Alcuni libri si mangiano

Questo è quello che io chiamo un libro da “mangiare”, perché è nutriente e fa bene. Da regalare alle persone in cerca di identità e soprattutto a chi sta rischiando di perderla nel conformismo o nello scoraggiamento di questi nostri giorni.

Non rimpiango (quasi) mai le mie letture, come le mie esperienze. Però non tutti i libri vanno nel mio scaffale dei “libri che amo”, ancor meno in quello dei necessari.

Rebecca Solnit* con i suoi “Ricordi della mia inesistenza” c’è, e ci resterà.

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*Rebecca Solnit , per rendere l’idea, è quella del mansplaining, o meglio – come lei racconta – fu un lettore del suo celeberrimo saggio “Gli uomini mi spiegano cose” a coniare questo neologismo per identificare il fenomeno da lei individuato e descritto, quando ahimé ne eravamo già afflitte senza averne sufficienza coscienza. Il saggio è del 2008, il New York Times ha eletto “mansplaining” parola dell’anno nel 2010 e nel 2014 è il termine è entrato nel dizionario.

#unlibrochiamalatro
sinapsi letterarie
è la rubrica Coffee N’Roses dedicata alla lettura e a quello strano, personalissimo processo per cui leggendo un libro te ne torna alla mente un altro.

Queste sono le sinapsi letterarie di Chiara B. (me medesima), incontrollabili dalla stessa autrice e perciò insindacabili.

Le pastore. Donne libere e inaspettate “In questo mondo”, il docu-film di Anna Kauber

E’ stato con grande piacere e sorpresa che – insieme a cibi, musica e nuove relazioni – durante la Festa Nazionale dei Borghi Autentici d’Italia a Barrea (Abruzzo), ho gustato la proiezione del docufilm “In questo mondo” di Anna Kauber, dedicato alle pastore italiane.

Un racconto corale e senza trama apparente, che scorre in un cammino lento e sorprendente attraverso le terre alte italiane e la loro bellezza aspra e profonda, oltre ogni stereotipo di genere e vari altri.

“In questo mondo”, titoli di coda

Al centro le pastore, narratrici e uniche attrici di una realtà ai più insospettabile: in Italia esistono decine e decine di donne pastore, presenti in tutte le regioni (oltre cento quelle censite e ascoltate da Anna Kauber nel suo lavoro di ricerca e racconto) .

Venti le pastore che nel docufilm danno voce e volto a una verità per me ancora più sconcertante: essere pastora è oggi in Italia una scelta ed è una scelta di profondissima libertà.

Di stereotipi le pastore ne confutano molti, rendendo evidenza di una profonda intelligenza femminile che prescinde dalla “capacità” (fisica e non solo) che la gestione di greggi e mandrie richiede, per di più in alta quota e in alcuni casi addirittura in mobilità continua, senza una “stalla fissa”.
Per come la vedo io sarebbe bello se ognuno trovasse in questo film il suo stereotipo da farsi confutare.
Dai modelli patriarcali in ambienti rurali alla determinazione femminile in culture ostative del cambiamento in continuità eterna con la tradizione, dalla questione delle terre alte e del loro spopolamento di senso, persone e attività a un modello di pastorizia al femminile connotato in maniera del tutto specifica, da una espressione fortissima di “sorellanza” e di empatia con gli animali a un nuovo ambientalismo fino a un femminismo “radicale” nel vero senso del termine che diventa perciò profondamente rivoluzionario. Un senso positivo della vita e una profonda accettazione della morte. Scegliete voi cosa le donne pastore possono insegnare.

A me hanno lasciato due impressioni molto forti:

  • la capacità profonda di amare e apprezzare la natura rende le persone creatrici di poesia e trasmettitrici di bellezza, anche in contesti e attraverso immagini non facili;
  • la libertà intellettuale prescinde dal livello di istruzione e da qui una catena di pensieri sull’emancipazione femminile e sugli stereotipi in cui l’abbiamo imbrigliata, pur in buona fede.
    Non escludo affatto che su questo dovremmo fare due, tre o anche quattro passi indietro, come magistralmente ha fatto la regista, durante le riprese.

In ultimo, ma non da ultimo, sorprendente e rincuorante che le Pastore esistano “in questo mondo” e siano per un verso o per un altro donne come noi. (vedere il film per credere)

Ps: non è piaciuto solo a me!

Anna Kauber alla proiezione del suo docu-film “In questo mondo”, a Barrea

Commenti entusiastici e vibranti quelli raccolti nella saletta di Barrea, a conferma di un curriculum già di rilievo. 
“In Questo Mondo” è stato il Vincitore Miglior documentario Italiana.doc al Torino Film Festival 2018, perché riconosciuto come un “film immersivo che rende le immagini corporee e ci contagia con i segni di un rapporto vivo e appassionato al mondo”. Interessante sapere, come Anna Kauber con giusto orgoglio rivendica, che “In questo mondo” è nato da un lavoro sul campo durato due anni, che ha di fatto aperto un filone di ricerca multidisciplinare sulla pastorizia femminile in rapido sviluppo. Assolutamente da tenere d’occhio.

Le pastore, una a una

Le cito perché i loro nomi ( e i loro volti) sono la storia:
Maria Pia Vercella Marchese, Michela Battasi, Donatella Germano, Rosetta Germano. Gabriella Michelozzi, Caterina De Boni Fiabane, Assunta Valente, Anna Arcari, Maria Oliveto, Efisia Podda, Lucia Colombino, Marica Colombino, Elia Nicolai, Alessandra Tomei, Addolorata Di Fiore, Rosa Aquilanti, Brigida Ciorciaro, Rosina Paoli, Anne Line Redtroen, Aste Redtroen, Assunta Calvino, Michela Agus.

Se lo avete visto o se lo vedrete, fatemi sapere che ne pensate!

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La proiezione del docu-film “In questo mondo” a Barrea, durante la Festa Nazionale dell’Associazione Borghi Autentici, lo scorso 31 agosto non è casuale. Per capire cosa intendo, qui sotto la presentazione dell’Associazione, come da loro sito.

Borghi Autentici d’Italia è una rete fra territori dove protagoniste sono le persone e le comunità, realtà che decidono di non arrendersi di fronte al declino e ai problemi ma che scelgono di mettere in gioco le proprie risorse per creare nuove opportunità di crescita: realtà che appartengono a quell’Italia che ce la vuole fare.

ps: foto prese in prestito da Sergimon, perché il mio smartphone – macchinetta fotografica – tante altre cose è morto senza appello qualche giorno fa.