Vorrei che … “sosemeglie”

Buon Natale 2023

Mia nonna, nei suoi ultimi giorni, a letto, alternava momenti di lamento profondo per i dolori, a sonno comatoso, a racconti di ricordi ispiratissimi.

I ricordi che mia nonna raccontava riguardavano una vita di 96 anni e qualche mese, iniziata negli anni ’20 del secolo scorso, in un piccolo paese della provincia di Frosinone, il mio, in una famiglia composta da un padre medico “condotto” (come sempre sentivo dire da lei), una mamma dal carattere di una “battagliera” (la mia longeva bisnonna di oltre 20 anni più giovane del marito) e già due sorelle e un fratello ad aspettarla, mentre un altro fratello sarebbe arrivato due anni dopo di lei.

Tutti i fratelli sono sempre stati un elemento centrale nei racconti di mia nonna, rimasta orfana di padre all’età di 4 anni. “Fratone” il suo fratello maggiore, medico poi emigrato negli Stati Uniti e il suo fratello più piccolo, amatissimo, morto prematuramente. Ma ho sempre pensato che i super -poteri di mia nonna fossero le sue sorelle maggiori, “le sorelle” come le chiamava, diversissime da lei, e in particolare una delle due, “la sorella” (mia nonna anche lei), con cui ha vissuto insieme tutta la vita, avendo sposato a loro volta due fratelli (motivo per cui io ho avuto quattro nonni materni di fatto e, al netto della difficoltà a spiegare l’albero genealogico, ho sempre considerato questo un gran bel regalo che la vita mi ha fatto).

Più o meno adolescente, mia nonna, sola tra le sorelle, è stata mandata a studiare a Perugia, in un collegio statale per orfani di medici, sezione femminile.
Del suo tempo a Perugia, mia nonna mi raccontava con estrema precisione di particolari, i nomi e l’aspetto delle sue amichette, le dinamiche in classe, le materie e gli argomenti che le davano ansia e i modi che trovavano per superarle, i loro giochi con niente, l’acqua ghiacciata che usavano per lavarsi la mattina, l’inventiva per far bastare beni di prima necessità che scarseggiavano anche nel collegio. Mi raccontava, senza mai dirlo (mia nonna non parlava direi mai di sentimenti né di emozioni) la solitudine di una bambina, in un posto freddo, severo e lontano dalle sua famiglia ma soprattutto dalle sue sorelle. Mi raccontava che a Natale e a Pasqua le ragazzine che abitavano più lontano, non tornavano a casa.

Quando stava per morire, un giorno in particolare mia nonna ha fatto una selezione di ricordi, mi ha raccontato solo le cose belle della sua vita, e quasi tutte erano legate all’infanzia . E avevo l’impressione che non le stava raccontando a me, le stava “vedendo” e toccando, incontrando di nuovo. Lo posso dire dalla luce dei suoi occhi e dalle lacrime di gratitudine che ho visto scendere sulle sue guance, rimaste sempre tondette come quelle di una bambina.

In particolare, quando mi raccontava del Natale, nel collegio di Perugia con le poche altre bambine che come lei non tornavano a casa. All’improvviso ha spalancato gli occhi e ha esclamato, con quella sua giustapposizione, tipica di italiano e dialetto: “I sosemeglie! Quando arrivavano i sosemeglie!“, come se fosse il giorno più bello della sua vita. “Le sorelle mi mandavano il pacco co’ gli sosemeglie. La direttrice mi chiamava “Valente”, e io lo andavo a prendere. Era il pacco co’ gli sosemeglie di Natale! Le sorelle lo legavano con un fiocco, di spago. Io lo prendevo, lo portavo in camera, lo aprivo e davo subito uno a Maria (la sua amica del cuore, ndr), uno me lo mangiavo e poi li conservavo“.
Mentre parlava, muoveva le mani per toccare il pacco, per sciogliere il fiocco, e per conservare il primo sosemeglio sul cuore.

Io un amore così invisibile e così profondo, nel tempo e nello spazio dei mondi, non so se l’ho mai rivisto.
Ma questo, di certo, è l’augurio che vorrei fare per Natale.

Questa gratitudine e questa forza di navigare i secoli, che viene dalla capacità di vedere “oltre” il visibile.
Oltre un pacco di sosemeglie, legato da un fiocco di spago, tutto l’Amore che c’è.

mia nonna [Coreno Ausonio (FR), 1926 – 2021]

Tra le cose più incredibili a cui ho assistito fin qui, citerei gli ultimi giorni di vita di mia nonna. Ho visto la grazia di chi sta per lasciare questa vita per andare non so dove, e ho visto gli occhi spalancati e illuminati, di chi (ri)vede davanti quello che è stato indietro. Ci sono sguardi che vedono quello che ancora non è perché già lo hanno visto, e ho l’impressione che questo miracolo sia l’esperienza dell’amore su questa terra.

buon Natale 2023

ChiaraB.

#paroledimemoria gli sosemeglie“: biscotti natalizi della tradizione corenese.
Sulla ricetta di questi biscotti, abbiamo bisogno di aiuto. So che sono biscotti duri, fatti con miele, noci e a volte cioccolato. Grazie a chi ci aiuterà a essere più precisi!

Cosa sono le #paroledimemoria e tutte quelle incontrate fin qi le trovi nella categoria “Parole di memoria

Parole di memoria, direzione futuro.

Parole di memoria

Riflessioni sul ruolo del dialetto per identità in transizione*.

Transizioni e identità

Viviamo un tempo di transizioni, siano esse processi naturali e culturali “de facto” o “programmi” politicamente disegnati e finanziati.

Pensiamo agli stravolgimenti geologici, per cui si parla della nostra come dell’era dell’Antropocene, in cui l’essere umano con le sue attività è arrivato a incidere sul livello territoriale, strutturale e climatico. Pensiamo alla transizione a cui il Covid e post-Covid ci ha condotti, e pensiamo al terremoto geo-politico ed energetico che la conclamata emergenza climatica sta sollecitando da anni e di cui la guerra, che si consuma su suolo ucraino, ha accelerato gli impatti, ormai in atterraggio violento sulle economie reali dei nostri territori. Pensiamo infine alle grandi trasizioni europee, cd transizioni gemelle, verde e digitale, la cui piena realizzazione, nella visione di Bruxelles, è prerogativa di futuro per lo stessso progetto di Unione europea. Dare “piena realizzazione” a tale transizione implica renderla inclusiva e giusta, preservando dallo scotto del cambiamento sistemico i territori meno preparati al grande salto della digitalizzazione e della neutralità climatica su ampia scala, ovvero ad azzerare l’impatto ambientale da qui al 2050 attraverso la trasformazione di sistemi produttivi, filiere di distribuzione e consumo, stili di vita. Come cambia l’uomo in questo monumentale transitare? Come cambia il sentire la comunità come “propria” e se stesso come parte di una comunità? Che confini ha la comunità dell’uomo delle transizioni? E dove àncora la sua identità? Quali parole la descrivono, la evocano, permettono di riconoscersi ancora simile ad altri, all’interno di un perimetro geografico-culturale? Che valenza ha il territorio nell’accompagnare il singolo e la comunità nella “dovuta” transizione, se è vero che la trasformazione dei contesti, prima che da risorse pubbliche o investimenti privati, passa dalle aspirazioni degli abitanti e dal loro ruolo attivo e in una qualche misura imprenditivo? (Venturi, Zandonai 2019) Domande enormi, a cui tante analisi e punti di vista arrivano a proporre “pezzi”, si spera integrati, di prospettiva. La nostra prospettiva parte da un territorio del basso Lazio e dal suo dialetto, con l’inizativa in erba “Parole di memoria”. Un progretto piccolo, familiare quasi, con un respiro che aspira alla profondità delle radici di cui si nutre.

Parole di memoria, recuperare nel dialetto tracce di identità

“Parole di memoria” nasce da una domanda in parte controintuitiva in tempo di transizione. Si prefigge infatti di usare le parole del dialetto e il loro ancoraggio fisico, quasi il loro manifestarsi visivamente nei luoghi reali del territorio, per contribuire a spostare la riflessione dal più urgente “dove stiamo andando”, al più lento “da dove veniamo” ovvero “quale antropologia stiamo lasciando dietro di noi”. La consapevolezza della memoria ci regala la libertà di scegliere cosa portare verso il nuovo mondo. Una transizione libera ha in sé un esercizio di tradizione, nel senso etimologico del termine, del “trasmettere”, per poter conservare ciò a cui si riconosce un valore, attraverso un esercizio di memoria e di narrazione che usi la lingua che più di altre ha dato forma all’identità territoriale e comunitaria nel tempo e nello spazio: il dialetto. In questo senso abbiamo scelto di interrogare le parole della piccola storia del nostro paese: le Parole di memoria di Coreno Ausonio (FR). “Passeggiare e pensare in natura attraverso le stagioni. Spesso lo faccio in compagnia di mio padre e nel camminare seminiamo memoria, per chi vorrà raccoglierla. Siamo a Coreno Ausonio, accovacciati tra i monti Aurunci, affacciati sul golfo di Gaeta, a 318 metri sul livello del mare, in provincia di Frosinone. Qui è passata la Storia attraverso i secoli, ha fatto sosta la Seconda Guerra Mondiale, lasciando il tracciato della Linea Gustav con il suo sangue, il suo dolore e le storie indelebili. Ogni volta che camminiamo incontriamo delle parole, pezzetti di storie che ricomponiamo, pezzetti di noi”.

“Parole di memoria” sono dei video in cui raccogliamo, dalla memoria di mio padre (classe 1944), le parole in dialetto, cerchiamo di spiegarne il significato e raccontiamo le tradizioni e le storie della comunità corenese e della civiltà rurale che a quelle parole sono collegate. Le Parole di memoria vengono fuori quasi “spontaneamente” mentre camminiamo, un po’ come la stramma, come gliu ventriscu (lentisco) e come le scocciacannate (ciclamini) ai bordi della strada. Sono le parole in dialetto che “descrivono le cose” e al tempo stesso “raccontano la storia” della nostra comunità e dei luoghi in cui questa storia ha preso forma. Riguardano gli eventi belli, la vita di tutti i giorni e le tragedie familiari e universali di cui siamo stati testimoni, anche attraverso i nostri antenati. Attraverso le Parole di memoria recuperiamo non solo la memoria storica e culturale del paese ma anche antropologica, ovvero lasciamo che emerga “l’umanità” che nella comunità si alimentava in modo quasi viscerale, come a definire il dna dei corenesi. Ci piacerebbe che fosse un racconto non solo evocativo ma, nel suo piccolo, generativo di piccoli semi di memoria ma anche di futuro: di quello che siamo stati, che in parte siamo ancora e che possiamo scegliere di tornare a essere, pur nelle forme e nei ritmi della nostra contemporaneità.

Il dialetto di Coreno Ausonio, chiedere ai luoghi “chi sémo”?

“Parole di memoria” raccoglie schegge di dialetto corenese, ritrovate camminando nella campagna e tra le strade del nostro paese che “non è” provincia di Caserta, “non è” Ciociaria, “non è” provincia di mare (Latina), ma confina con le tre aree e nel suo dialetto ne riceve gli influssi, sia in termini morfosintattici che lessicali e fonetici, nonché di codici extralinguistici. Coreno Ausonio ha infatti una forte identità dialettale, legata a un certo attaccamento a tradizioni e cultura di appartenenza, queste ultime simili eppure diverse e specifiche rispetto ai paesi confinanti. Questo fa sì che il “corenese” sia percepito un po’ come una seconda lingua, secondo un modello diglottico. Interessante notare come, sia a livello familiare che comunitario, si stia sviluppando una sorta di semi – dialettofonia di ritorno, collegata a un rinnovato interesse culturale per tutto ciò che è più puramente “corenese”. Interessante anche notare come lo status di prestigio palese e celato legato al dialetto si sia nel tempo di una generazione quasi sovvertito. Se nell’infanzia parlare in dialetto era in qualche modo censurato e collegato più o meno implicitamente a variazioni diastratiche, nella situazione attuale c’è un vero e proprio “ritorno a casa” nell’uso del dialetto, percepito dall’intera comunità sia a livello generazionale che sociale.

Nel nostro piccolo, con i video “Parole di memoria” cerchiamo di mantenere viva la memoria per saper riconoscere le nostre radici e per non perderle. Attraverso le parole del dialetto recuperiamo i ricordi e l’identità del territorio, che è anche la nostra. Mi piace richiamare il fatto che i greci avessero due termini per il ricordo: mneme e anamnesis, il primo per indicare il ricordo come ciò che appare, il secondo come oggetto di una ricerca, di una reminiscenza. Ma, in fondo, il senso del camminare nel ricordo è sempre proprio del soggetto, di chi cercando il “cosa”, attraverso il “come”, incontra il “chi”, ovvero “se stesso”, sia esso un “sé” individuale o collettivo: dal ricordo alla memoria riflessiva attraverso la reminiscenza. (Ricouer 2003)

L’uomo transitante e il patrimonio linguistico di una comunità

La tesi che si vuole suggerire nasce da un’osservazione sorta nel camminare tra le strade del territorio, prendendo atto di come il territorio sia un’entità “parlante”. Che lingua parla il territorio? Dove sono fisicamente collocate e reperibili le parole del territorio? Che cosa racconta attraverso le sue parole? Cosa tramanda? Cosa dovremmo saper ascoltare, per muovere con identità libera attraverso le transizioni del nostro tempo, di cui siamo soggetti attivi e critici, ma a cui rischiamo parzialmente di andar soggetti? La lingua, come la sociolinguistica ci insegna, non ha sola funzione pragmatica, ma ha anche l’aspirazione di conferire identità sociale e riconoscimento comunitario al parlante. Cosi le sue varietà ci permettono di comunicare chi siamo e di rendere le nostre scelte linguistiche pieno strumento di consapevolezza ed espressione del sé. (Santipolo 2022) Riacquistare conoscenza del dialetto e competenza comunicativa sembra essere un atto libero di resistenza e immaginazione culturale per i nostri territori. Linguisticamente parlando, un territorio dovrebbe poter conservare memoria di sé attraverso la lingua che ne racconta non solo l’evoluzione culturale, ma anche le radici antropologiche. La pregnanza del dialetto è nel descrivere e nel definire cose che, se anche non esistono nel presente, informano il nostro codice genetico socio-culturale e identitario. In questo le Parole di memoria hanno la capacità di rievocare e riattivare esperienze di riconoscimento e immaginazione, per il presente e per il futuro.

Riferimenti bibliografici

RICOEUR P. (2003), La memoria, la storia, l’oblio Raffaello Cortina Editore, Milano.
SANTIPOLO M. (2022), Educazione e politica linguistica. Teoria e pratica, Bulzoni Editore, Roma.
VENTURI P., ZANDONAI F. (2019) DOVE. La dimensione di luogo che ricompone impresa e società, Edizioni Egea, Milano.

  • articolo pubblicato in Saperi Territorializzati, giugno 2023

Quando si nasceva, quando si moriva. Gliu cònsoglio e altre Parole di memoria a Coreno Ausonio (FR)

La nascita e la morte sono i due momenti che rendono “possibile” l’esistenza dell’individuo. Dalle parole legate ai riturali e alle tradizioni che accompagnano il nascere e il morire, possiamo comprendere quanto l’individuo era legato nella tradizione rurale alla comunità. Ne era infatti parte integrante, nella gioia e nel dolore.

Parole di memoria, la vita e la morte, le tradizioni a Coreno Ausonio

Un po’ di comunità nasceva e moriva con ciascuno dei suoi membri, eppure attraverso la solidarietà e il mutuo aiuto si compiva in qualche modo un piccolo, profondo miracolo di rinascita e resilienza. Ogni volta che si nasceva, ogni volta che si moriva.

Parole di memoria. Febbraio 2023 , Località: Curthi Coreno Ausonio (FR)
[riprese Sergio Monetta; starring Tonino aka mio padre, con la partecipazione di Antonio Parente]

Qui il racconto delle tradizioni legate alla nascita e alla morte a Coreno Ausonio, il nostro piccolo paese in provincia di Frosinone, nella parole di memoria di Antonio (Tonino) Buongiovanni, mio padre, classe 1944.

Parole di memoria è un format che ho ideato e realizzato perché credo che le parole parlino di noi e che il nostro dialetto ci restituisca le radici e un po’ di ciò che siamo”.
Chiara B.

Parole di memoria, la rubrichetta sul dialetto e le tradizioni

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Parole di memoria, piccola rubrica. Nel dialetto l’identità del territorio

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Parole di memoria è la rubrichetta dedicata alle camminate in natura, con mio padre, e alle espressioni del nostro dialetto che incontriamo.

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Rialzare “Macère”, architetture e memorie rurali a Coreno Ausonio

Se chiudo gli occhi e penso al mio paese, Coreno Ausonio, una delle primissime cose che subito vedo sono le sue innumerevoli “macère“.

Muri a secco in pietra che mantengono le vallocchie (vallòtthie) – così come chiamiamo qui i terrazzamenti di terreno agricolo – una sull’altra in armonia scalare.

Ho sempre ammirato gli incastri perfetti e la meraviglia della loro resistenza nel tempo.
A volte franano. Proprio come noi, che da piccoli le abbiamo usate e consumate per arrampicarci e arrivare nei prati dei nostri pic-nic più belli, dalle loro pietre a incastro perfetto sorretti e delimitati.

Come noi, discendenti di quelli che le hanno costruite secoli fa, e come tutti le macère sono sensibili. Agli agenti atmosferici, all’incuria, al tempo che sfida i loro incastri,
Come noi in questo tempo chiedono di essere rialzate, perché baluardo della nostra identità, della civiltà contadina che ci ha accompagnati a essere quelli che siamo e perché frutto di un grande patto di comunità, fondato sulla terra e sulla cura.

Parole di memoria scolpite nella pietra

Le macère franate si chiamano vàrola, l’arte di rialzare risiede nell’aisa’ le vàrola che al singola diventa gliu varu.
Per raggiungere la vallocchia (appezzamento di terreno sorretto e delimitato dalla macera) si salgono gli rarigli, opera fantastica di architettura rurale, impressa nella mie memorie di infanzia.

Ci vuole una comunità per rialzare macère

Ci vuole una comunità per rialzare le macère, come per rialzare gli animi e ridare struttura e armonia a un tempo che sembra accasciarsi su stesso e arroccarsi sulle singole individualità scheggiate.

Le abbiamo incontrate queste “macère” ferite, nel corso delle nostre consuete camminate nella natura, sotto i monti, davanti al mare. A Coreno Ausonio, in provincia di Frosinone.
E con loro le parole di memoria che trasudano e ci consegnano.

Sono parole di cura, di bellezza e di perizia.
Sono come sempre parte di noi.
Le ho raccolte da mio padre, e ne riporto qualcuna a memoria collettiva e futura.

Buon cammino nella memoria attraverso le sue parole… e buona ricostruzione a noi tutti.

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La stramma e i giochi antichi, a passeggio nel dialetto. D’inverno a Coreno Ausonio (FR)

Arrivederci, Inverno!

Abbiamo fatto molte passeggiate in questo inverno, nell’anno della pandemia. La natura ci ha salvati in tanti giorni e così la memoria, attraverso le parole del dialetto e le immagini di questa nostra piccola storia, rannicchiata tra i Monti Aurunci. Cosi la storia del nostro paese, Coreno Ausonio, ci torna e ritorna, a sorsi, davanti agli occhi. E nel cuore. Ci prepariamo a entrare nella primavera. E a tutto quello che rinascerà, sempre e nonostante tutto. Qui il video con le parole che abbiamo incontrato, nell’ultima passeggiata di inverno (2021).

La memoria ci insegna la resistenza e una forma atavica di resilienza.

Come la stramma, la prima parola che abbiamo incontrato in questa nostra passeggiata invernale. Un’erba infestante che ha saputo donare al territorio corenese, nel tempo, una risorsa economica importante, in una filiera micro-imprenditoriale sviluppata artigianalmente attorno alle fugni ovvero le funi, agli capisti – le funicelle poco lunghe usate per legare le fascine di legna o la stramma appena raccolta – fino agli strugli usati per comporre le rate, piani di appoggio per distendere ed essiccare cibarie varie, soprattutto uva e fichi.

Parole di memoria sparse nell’inverno

Come sempre quando camminiamo nella natura corenese, abbiamo incontrato innumerevoli cerque, le querce, svestite per la stagione e le loro simpatiche “palline” gli cucùri, in aggiunta alle preziosissime gliande, le ghiande.

Arrivederci, Inverno!

Con questo video salutiamo l’inverno, che abbiamo attraversato da dicembre a febbraio e ci prepariamo alla prossima passeggiata di primavera. A tutti buon tuffo nella memoria, negli odori, nelle atmosfere e in quella promessa di felicità semplice che solo i ricordi che la nostra terra emana ci sa dare.

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Natale a Coreno Ausonio (FR) – Gliu Cocò, zia Cosa e altre tradizioni

Natale 2020 a Coreno Ausonio (FR). Passeggiando sulle nostre montagne “pe’ la via re Vallauria” abbiamo incontrato i ricordi delle nostre tradizioni natalizie.

Le parole hanno portato le immagini e la memoria ha preso a camminare insieme a noi al ritmo di una filastrocca che inizia così: “Oì zia Cosa scegnesce caccòsa...” (…).

La casella della Ripa, sotto il monte Maio: la memoria dei miei bisnonni

Ci siamo fermati alla casella della Ripa, per condividere e fissare le parole in immagini.
La Ripa, la casa in pietra nel video, era la casa di campagna dei mie bisnonni. Mia nonna mi racconta sempre delle sue estati qui, e della sosta d’emergenza per sfuggire ai rastrellamenti dei tedeschi (che comunque arrivarono anche qui) prima di essere sfollati fuori dal territorio di Coreno (ma questa è un’altra Storia).

A riprendere Sergio Monetta, a ricordare mio padre Antonio (da sempre Tonino), ad ascoltare io e mio fratello Flavio.

L’orizzonte invernale, gli ulivi e le nostre pietre sempre al nostro fianco. Davanti a noi Gaeta che poggia nel Golfo come una balena ormai familiare. Il vento a tratti fortissimo.

Auguri di resistenza e resilienza nel 2021

Questo breve video parla di noi. E per tutti noi è un augurio di resistenza, resilienza e di una certa inspiegabile fiducia nella vita che contraddistingue le nostre radici contadine.

Le #paroledimemoria di dicembre nelle filastrocche di Natale

In questo mese abbiamo raccolto il ritmo della felicità semplice e inspiegabile che scandiva i giorni di Natale negli anni del dopoguerra, anni di difficoltà economica ma di grande dignità, e come ricorda mio padre “di grandi sogni”.

Gliu cocò / zia Cosa

Gliu cocò è lo strumento che ha dato il nome all’intero “rito”, un antesignano del “dolcetto – scherzetto” che si accompagnava di filastrocche che suonavano così:

Oi zia Cosa, scegnésce caccòsa,
caccòsa alla spagnola / alla salute re zi' Gnicola. 
E si ce l'adda scegne, 
scegnascella lestu, 
lestu e correnno ca tama i' cantenno,
lestu e correnno ca tama cammina'.

E continuava con una serie di strofe “augurali”, tipo:

 Si ce scigni nu corneglio (= dolce tipico natalizio) 
 puzzi fa' nu figliu beglio, 
si ce scigni na caramella 
puzzi fa' na figlia bella (...) 

E alcune personalizzabili, come:

Agliu susciu, agliu susciu,
si thu nu me canusci, 
so gliu figliu re Bongiuagni, 
scegnamigliu nu pirtuagliu (= arancia) 

Gli cunthi sono i racconti della tradizione, prevalentemente orale (mi piacerebbe ricordarne per intero almeno uno di quelli che mi raccontava la mia bisnonna) e le suscelle sono le carrube, usate nell’immediato dopoguerra (anche) come surrogato dei dolci per i bambini.

E’ solo un assaggio del Natale corenese, parole portate dal vento in una delle nostre passeggiate dicembrine nella natura che abbraccia per intero il nostro paese. Come sempre niente di troppo serio ed esaustivo, se avete strofe, tradizioni e parole di memoria da aggiungere… sono benvenute, come ogni altra suggestione o correzione della trascrizione!

Bono Natale, 
megliu Capu r’agnu,
come gli ‘amo vist’auanno
accussi a centautagni
Parole di memoria – Natale a Coreno Ausonio

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Parole di memoria, piccola rubrica. Nel dialetto l’identità del territorio

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Parole di memoria, piccola rubrica. Nel dialetto l’identità del territorio

Manteniamo viva l’identità del nostro territorio, attraverso il suo dialetto.

Camminare nella natura attraverso le stagioni è un esercizio di memoria. Spesso lo faccio con mio padre e nel camminare incontriamo parole del nostro dialetto. Pezzi di storia, pezzi di memoria, pezzi di noi.

Qui le parole di novembre, ritrovate camminando nella campagna di Coreno Ausonio (FR).

Parole di memoria. Novembre , Località: Bareoglie, Coreno Ausonio (FR)
[riprese Sergio Monetta; starring il signor Tonino aka mio padre]

Cosa è Parole di memoria

Attraverso le parole del nostro dialetto recuperiamo ogni mese ricordi e manteniamo viva l’identità del nostro territorio, che è anche la nostra.

Partiamo a novembre, da Coreno Ausonio (FR), il “mio posto”.
Scopriamo le parole di questo mese e la storia che raccontano, nel loro piccolo. Ci aiuta mio padre, il “signor Tonino” come (secondo me) felicemente ribattezzato dalla mia amica ig @ladydiprovincia.
Le parole di novembre che trovate nel video :
– chiàtema – scocciacannàte – ventrìscu + un modo di dire sul tempo incerto.

Parole di memoria è una rubrica mensile che serve in primis a noi, per riconoscere le radici e non perderle. Speriamo piaccia anche a voi.

Promettiamo di migliorare nelle prossime uscite!

#paroledimemoria #caffeconrose

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Parole di memoria novembre
Parole di memoria #caffeconrose – Novembre

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PS: di Coreno Ausonio sentirete ancora molto parlare, intanto qui un po’ di riferimenti geografici, come ben sintetizzati da qualche compaesano volenteroso su Wikipedia.

“Coreno Ausonio si trova a 318 m s.l.m., su un altipiano posto sul fianco sud-ovest del Monte Maio (m 940), facente parte della Catena dei Monti Aurunci. L’abitato non dispone di un unico centro storico, ma è diviso nei suoi caratteristici antichi rioni, costruiti di solito intorno a un solo casale originario che s’ingrandiva, stanza dopo stanza, per via dell’incremento demografico delle famiglie, che prendevano i nomi degli edificatori primordiali.

Il territorio comunale presenta le caratteristiche di un territorio montano che digrada a uno collinare, con un andamento da nord-est a sud-ovest. Le altre cime dei monti Aurunci, presenti nel territorio, sono il monte Rinchiuso (778 m), il monte Feuci (830 m) e il monte Reanni (554)” (…)

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Se interessati al tema della memoria, consiglio:

Piccolo museo del diario “Senti la Storia che sussurra tra le storie?” Pieve Santo Stefano (AR)