La nascita e la morte sono i due momenti che rendono “possibile” l’esistenza dell’individuo. Dalle parole legate ai riturali e alle tradizioni che accompagnano il nascere e il morire, possiamo comprendere quanto l’individuo era legato nella tradizione rurale alla comunità. Ne era infatti parte integrante, nella gioia e nel dolore.
Parole di memoria, la vita e la morte, le tradizioni a Coreno Ausonio
Un po’ di comunità nasceva e moriva con ciascuno dei suoi membri, eppure attraverso la solidarietà e il mutuo aiuto si compiva in qualche modo un piccolo, profondo miracolo di rinascita e resilienza. Ogni volta che si nasceva, ogni volta che si moriva.
Parole di memoria. Febbraio 2023 , Località: Curthi Coreno Ausonio (FR) [riprese Sergio Monetta; starring Tonino aka mio padre, con la partecipazione di Antonio Parente]
Qui il racconto delle tradizioni legate alla nascita e alla morte a Coreno Ausonio, il nostro piccolo paese in provincia di Frosinone, nella parole di memoria di Antonio (Tonino) Buongiovanni, mio padre, classe 1944.
“Parole di memoria è un format che ho ideato e realizzato perché credo che le parole parlino di noi e che il nostro dialetto ci restituisca le radici e un po’ di ciò che siamo”. Chiara B.
Parole di memoria, la rubrichetta sul dialetto e le tradizioni
Parole di memoria è la rubrichetta dedicata alle camminate in natura, con mio padre, e alle espressioni del nostro dialetto che incontriamo.
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Se chiudo gli occhi e penso al mio paese, Coreno Ausonio, una delle primissime cose che subito vedo sono le sue innumerevoli “macère“.
Muri a secco in pietra che mantengono le vallocchie (vallòtthie) – così come chiamiamo qui i terrazzamenti di terreno agricolo – una sull’altra in armonia scalare.
Ho sempre ammirato gli incastri perfetti e la meraviglia della loro resistenza nel tempo. A volte franano. Proprio come noi, che da piccoli le abbiamo usate e consumate per arrampicarci e arrivare nei prati dei nostri pic-nic più belli, dalle loro pietre a incastro perfetto sorretti e delimitati.
Come noi, discendenti di quelli che le hanno costruite secoli fa, e come tutti le macère sono sensibili. Agli agenti atmosferici, all’incuria, al tempo che sfida i loro incastri, Come noi in questo tempo chiedono di essere rialzate, perché baluardo della nostra identità, della civiltà contadina che ci ha accompagnati a essere quelli che siamo e perché frutto di un grande patto di comunità, fondato sulla terra e sulla cura.
Parole di memoria scolpite nella pietra
Le macère franate si chiamano vàrola, l’arte di rialzare risiede nell’aisa’ le vàrola che al singola diventa gliu varu. Per raggiungere la vallocchia (appezzamento di terreno sorretto e delimitato dalla macera) si salgono gli rarigli, opera fantastica di architettura rurale, impressa nella mie memorie di infanzia.
Ci vuole una comunità per rialzare macère
Ci vuole una comunità per rialzare le macère, come per rialzare gli animi e ridare struttura e armonia a un tempo che sembra accasciarsi su stesso e arroccarsi sulle singole individualità scheggiate.
Le abbiamo incontrate queste “macère” ferite, nel corso delle nostre consuete camminate nella natura, sotto i monti, davanti al mare. A Coreno Ausonio, in provincia di Frosinone. E con loro le parole di memoria che trasudano e ci consegnano.
Sono parole di cura, di bellezza e di perizia. Sono come sempre parte di noi. Le ho raccolte da mio padre, e ne riporto qualcuna a memoria collettiva e futura.
Buon cammino nella memoria attraverso le sue parole… e buona ricostruzione a noi tutti.
Come sempre niente di troppo serio ed esaustivo, ogni suggestione evocata o correzione della trascrizione è benvenuta! Se volete seguirci sul canale video Youtube: COFFEE N’ROSES Youtube Se condividete lasciate una traccia con #caffeconrose #paroledimemoria
Per camminare tra le Parole di memoria, date un’occhiata qui.
Parole di memoria è la rubrichetta dedicata alle camminate in natura, con mio padre, e alle espressioni del nostro dialetto che incontriamo.
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Abbiamo fatto molte passeggiate in questo inverno, nell’anno della pandemia. La natura ci ha salvati in tanti giorni e così la memoria, attraverso le parole del dialetto e le immagini di questa nostra piccola storia, rannicchiata tra i Monti Aurunci. Cosi la storia del nostro paese, Coreno Ausonio, ci torna e ritorna, a sorsi, davanti agli occhi. E nel cuore. Ci prepariamo a entrare nella primavera. E a tutto quello che rinascerà, sempre e nonostante tutto. Qui il video con le parole che abbiamo incontrato, nell’ultima passeggiata di inverno (2021).
La memoria ci insegna la resistenza e una forma atavica di resilienza.
Come la stramma, la prima parola che abbiamo incontrato in questa nostra passeggiata invernale. Un’erba infestante che ha saputo donare al territorio corenese, nel tempo, una risorsa economica importante, in una filiera micro-imprenditoriale sviluppata artigianalmente attorno allefugniovvero le funi, agli capisti – le funicelle poco lunghe usate per legare le fascine di legna o la stramma appena raccolta – finoagli strugli usati per comporre le rate, piani di appoggio per distendere ed essiccare cibarie varie, soprattutto uva e fichi.
Parole di memoria sparse nell’inverno
Come sempre quando camminiamo nella natura corenese, abbiamo incontrato innumerevoli cerque, le querce, svestite per la stagione e le loro simpatiche “palline” gli cucùri, in aggiunta alle preziosissime gliande, le ghiande.
Arrivederci, Inverno!
Con questo video salutiamo l’inverno, che abbiamo attraversato da dicembre a febbraio e ci prepariamo alla prossima passeggiata di primavera. A tutti buon tuffo nella memoria, negli odori, nelle atmosfere e in quella promessa di felicità semplice che solo i ricordi che la nostra terra emana ci sa dare.
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Natale 2020 a Coreno Ausonio (FR). Passeggiando sulle nostre montagne “pe’ la via re Vallauria” abbiamo incontrato i ricordi delle nostre tradizioni natalizie.
Le parole hanno portato le immagini e la memoria ha preso a camminare insieme a noi al ritmo di una filastrocca che inizia così: “Oì zia Cosa scegnesce caccòsa...” (…).
La casella della Ripa, sotto il monte Maio: la memoria dei miei bisnonni
Ci siamo fermati alla casella della Ripa, per condividere e fissare le parole in immagini. La Ripa, la casa in pietra nel video, era la casa di campagna dei mie bisnonni. Mia nonna mi racconta sempre delle sue estati qui, e della sosta d’emergenza per sfuggire ai rastrellamenti dei tedeschi (che comunque arrivarono anche qui) prima di essere sfollati fuori dal territorio di Coreno (ma questa è un’altra Storia).
A riprendere Sergio Monetta, a ricordare mio padre Antonio (da sempre Tonino), ad ascoltare io e mio fratello Flavio.
L’orizzonte invernale, gli ulivi e le nostre pietre sempre al nostro fianco. Davanti a noi Gaeta che poggia nel Golfo come una balena ormai familiare. Il vento a tratti fortissimo.
Auguri di resistenza e resilienza nel 2021
Questo breve video parla di noi. E per tutti noi è un augurio di resistenza, resilienza e di una certa inspiegabile fiducia nella vita che contraddistingue le nostre radici contadine.
Le #paroledimemoria di dicembre nelle filastrocche di Natale
In questo mese abbiamo raccolto il ritmo della felicità semplice e inspiegabile che scandiva i giorni di Natale negli anni del dopoguerra, anni di difficoltà economica ma di grande dignità, e come ricorda mio padre “di grandi sogni”.
Gliu cocò / zia Cosa
Gliu cocò è lo strumento che ha dato il nome all’intero “rito”, un antesignano del “dolcetto – scherzetto” che si accompagnava di filastrocche che suonavano così:
Oi zia Cosa, scegnésce caccòsa,
caccòsa alla spagnola / alla salute re zi' Gnicola. E si ce l'adda scegne, scegnascella lestu, lestu e correnno ca tama i' cantenno,lestu e correnno ca tama cammina'.
E continuava con una serie di strofe “augurali”, tipo:
Si ce scigni nu corneglio (= dolce tipico natalizio) puzzi fa' nu figliu beglio, si ce scigni na caramella puzzi fa' na figlia bella (...)
E alcune personalizzabili, come:
Agliu susciu, agliu susciu,si thu nu me canusci, so gliu figliu re Bongiuagni, scegnamigliu nu pirtuagliu (= arancia)
Gli cunthi sono i racconti della tradizione, prevalentemente orale (mi piacerebbe ricordarne per intero almeno uno di quelli che mi raccontava la mia bisnonna) e le suscelle sono le carrube, usate nell’immediato dopoguerra (anche) come surrogato dei dolci per i bambini.
E’ solo un assaggio del Natale corenese, parole portate dal vento in una delle nostre passeggiate dicembrine nella natura che abbraccia per intero il nostro paese. Come sempre niente di troppo serio ed esaustivo, se avete strofe, tradizioni e parole di memoria da aggiungere… sono benvenute, come ogni altra suggestione o correzione della trascrizione!
Bono Natale, megliu Capu r’agnu, come gli ‘amo vist’auanno accussi a centautagni
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Manteniamo viva l’identità del nostro territorio, attraverso il suo dialetto.
Camminare nella natura attraverso le stagioni è un esercizio di memoria. Spesso lo faccio con mio padre e nel camminare incontriamo parole del nostro dialetto. Pezzi di storia, pezzi di memoria, pezzi di noi.
Qui le parole di novembre, ritrovate camminando nella campagna di Coreno Ausonio (FR).
Parole di memoria. Novembre , Località: Bareoglie, Coreno Ausonio (FR) [riprese Sergio Monetta; starring il signor Tonino aka mio padre]
Cosa è Parole di memoria
Attraverso le parole del nostro dialetto recuperiamo ogni mese ricordi e manteniamo viva l’identità del nostro territorio, che è anche la nostra.
Partiamo a novembre, da Coreno Ausonio (FR), il “mio posto”. Scopriamo le parole di questo mese e la storia che raccontano, nel loro piccolo. Ci aiuta mio padre, il “signor Tonino” come (secondo me) felicemente ribattezzato dalla mia amica ig @ladydiprovincia. Le parole di novembre che trovate nel video : – chiàtema – scocciacannàte – ventrìscu + un modo di dire sul tempo incerto.
Parole di memoria è una rubrica mensile che serve in primis a noi, per riconoscere le radici e non perderle. Speriamo piaccia anche a voi.
PS: di Coreno Ausonio sentirete ancora molto parlare, intanto qui un po’ di riferimenti geografici, come ben sintetizzati da qualche compaesano volenteroso su Wikipedia.
“Coreno Ausonio si trova a 318 m s.l.m., su un altipiano posto sul fianco sud-ovest del Monte Maio (m 940), facente parte della Catena dei Monti Aurunci. L’abitato non dispone di un unico centro storico, ma è diviso nei suoi caratteristici antichi rioni, costruiti di solito intorno a un solo casale originario che s’ingrandiva, stanza dopo stanza, per via dell’incremento demografico delle famiglie, che prendevano i nomi degli edificatori primordiali.
Il territorio comunale presenta le caratteristiche di un territorio montano che digrada a uno collinare, con un andamento da nord-est a sud-ovest. Le altre cime dei monti Aurunci, presenti nel territorio, sono il monte Rinchiuso (778 m), il monte Feuci (830 m) e il monte Reanni (554)” (…)
******* Se interessati al tema della memoria, consiglio:
Ho scelto di fare le vacanze in Italia, al mare, sotto il sole splendente e sono una sopravvissuta felice.
Ponza al vento – foto @caffeconrose (agosto 2020)
Mi è tornato il desiderio di mare in estate, dei suoi colori, odori, luce e calore sulle pelle, non solo nelle ore della sera. Del suo vagare in costume e ciabatte e capelli di sale, in ogni angolo di isole e promontori. Del suo richiamo a immergersi in acque corpose e a seguirne per ore le onde, raffreddando i pensieri sotto il sole rovente.
Chi ha un’anima novembrina come la mia, certificata alla nascita, può capire cosa ciò significhi. Chi frequenta gli archetipi delle divinità femminili, altrettanto: un ritorno a celebrare Afrodite, nella luce accecante dell’estate mediterranea.
E’ stata una bellissima estate.
Qui sotto qualche impressione in più raccolta nel mio girovagare marino di questa estate 2020, estiva come non capitava da anni. (NB: Non scrivo qui riferimenti a strutture ricettive e similia, ma se avete curiosità scrivetemi pure e vi risponderò).
Luglio 2020 – Gargano – Puglia
La mia estate marina è cominciata con una settimana nel Gargano, a luglio. Camping, con possibilità di appartementini (noi abbiamo scelto quest’ultima opzione). Immersi nel verde, struttura dalle atmosfere gipsy anni ’70, no linea del telefono, wi-fi abbastanza debole da desistere se non strettamente necessario. Spiagge bianche di sassolini, rocce luminosissime, sovrastate da pinete profumate di mediterraneo, cielo azzurro, dorato e screziato di rame e argento la sera. Acqua che trattiene colori e odori di tutto questo.
Lunghissimi bagni in acque cangianti, escursioni mistiche in canoa nelle grotte della costa, trekking con panorami azzurro- verde-marrone. Ovunque luce. Pasti a base di pesce, pane e pomodoro, pane cotto, formaggi e carni di ogni spessore. Borghi e loro abitanti che celebrano il risveglio estivo (entro le misure del Covid), pur mantenendo integro il loro cuore piuttosto chiuso e a tratti vicino all’inverno, per chi sa ben guardare.
Cose “Coffee N’Roses” – Gargano:Spiagge – Vignanotica, Baia di Campo (altre molto promettenti ma chiuse per Covid: Sanguinara, Pugnochiuso); Trekking – Sentiero dell’amore (partenza da Vignanotica); Paesi: Rodi Garganico e la strada per arrivarci al tramonto su tutto il resto; Cibo: pane e pomodoro e pane cotto in vetta seguiti da polpo in tutte le salse; Accessori: da portare ciabattine per spiagge di sassolini appuntiti, per una volta la TRE che non prende mai, figuriamoci lì. Nota: il Gargano lo abbiamo esplorato anche d’inverno, precisamente a Capodanno. Se siete anime profondamente invernali merita moltissimo in quella stagione… ma ops, qui stiamo parlando di estate.
Agosto 2020 – Isola di Ponza – Lazio
Le isole in agosto sono state per un po’ “l’ultimo posto nella classifica delle vacanze che vorrei”. Eppure respirare l’aria di un’isola ormai miticamente estiva, impregnata di colori pastello acceso, voci di gente allegra e volti segnati dal sole, ottime cene e fiumiciattoli di vino nelle vene, per tre giorni, mi ha fatto bene. Avevo girato l’isola e le sue baie in barca anni prima e avevo apprezzato, ma quest’anno non abbiamo preso barca, e l’abbiamo vissuta a ritmo lento, a partire dalla sua zona alta Villaggio dei Pescatori. Di Ponza mi ha fatto bene l’atmosfera estiva all’ennesima potenza, ma anche quella luce apparentemente educata del Tirreno che tuttavia si imprime a livelli profondissimi, come se emettesse radiazioni capaci di raggiungere e far risuonare le migliori vibrazioni, non importa dove siano andate a nascondersi.
Cose “Coffee N’Roses” – Ponza: Il Villaggio dei Pescatorie l’hotel dalle casette color pastello in cui dormivamo; la colazione in terrazza con la maga Circe che continua a sognare davanti ai nostri occhi pieni di azzurro (tradotto: si è molto vicini al Promontorio del Circeo); il mare onnipresente, le piscine naturali la sera; Chiaia di Luna al tramonto (anche se non si può scendere in spiaggia); il giri in taxi tra i luccichii del verde isolano prima del tramonto; gli spaghetti ai gamberi rossi e il vino, tutte le sere; la frittura di calamari e la birra ghiacciata tra gli odori salmastri; le targhe sui palazzi colorati che raccontano la storia dell’isola oltre le settimane di agosto; le barche piccole dei pescatori, ciascuna con il suo nome, al porto, di notte prima di salpare.
Agosto 2020 – Isola d’Elba – Toscana
L’isola d’Elba mi chiamava a sé dalle elementari, quando fantasticavo dell’esilio napoleonico e già la mia natura introversa un po’ ne invidiava le sorti. Quest’anno ci sono andata in estate e ne ho respirato le meraviglie. L’Isola d’Elba mi è piaciuta molto; per esser stata su un’isola ad agosto, mi ha sorpreso quanto io sia stata bene circondata dalle sue acque, coccolata dai suoi colori, mai gridati, ma soffici, eleganti, intensi, profondi al punto giusto. Originali. Questo è il tratto dell’Elba che mi porto dietro: il suo essere un’isola con un modo tutto suo di esserlo. Facendo l’occhiolino all’antropologia isolana e toscana allo stesso tempo, con quel pizzico di rudezza e imprevedibilità d’animo che hanno sempre e dovunque i marinai ma con quella inalienabile consapevolezza della propria bellezza che rende i toscani tali. Nuotare, nuotare, nuotare e aspettare il tramonto in semi solitudine sulle scogliere accanto alle più famose spiagge stracolme, qualcosa da provare. Viaggio on the road con la mia amica di viaggi on the road, camping in tenda a Cavo, la meno gettonata dell’isola, perciò a me molto cara. Camping spartano ma con piazzole super, a mo’ di giardinetto privato, immerso nel verde, lontano dalla confusione inevitabile. Dei colori del mare e del nuotarci dentro, non posso dirvi molto se non che la mia esperienza è stata di nuotare, osservare, respirare l’argento. Per me l’Isola d’Elba è l’isola d’argento e chi ama i toni freddi sa come questo possa risuonare internamente. Anche il rumore dell sue onde, mai fragoroso, mi richiama ancora nel ricordo a un ridere argentino.
Assolutamente da girare in macchina, da godere del suo vino bianco, freddo e delle cene di pesce fino a non poterne più, se mai “non poterne più” fosse una condizione realizzabile, nelle serate che sono solo la continuazione delle giornate di sole, che sono la continuazione delle nottate di stelle.
Cose “Coffee N’Roses” – Isola d’Elba: Ie belle case mai volgari, riecheggianti di passato e a lui fedeli nelle architetture e nelle posture; i tramonti dovunque, qualsiasi sia la luce, il più bello, di un arancio freddo, riscaldato di rame sulle scogliere di Cottoncello; la vista da Monte Capanne per affogare d’azzurro (se volete arrivarci in cabinovia calcolate la fila, lunga e calda ad agosto, poi 20 minuti per salire e altrettanti per scendere, mentre a piedi il percorso di trekking – dicunt – è di scarse 3 ore); il rosa di Portoferraio, le scogliere bianco ghiaccio accanto alla gettonatissima Fetovaia, gli gnocchi alle uova di pesce in veranda sulla spiaggia delle Forcelle, il chioschetto d’antan nella spiaggia di Topinetti, il gelato sul lungomare a Cavo, la gita in bici da Cavo a Rio Marino (bici fornite dal campeggio), le stradine e i panni stesi ad asciugare, profumatissimi di Rio Marino. Cose per la prossima volta – Per acclamazione popolare, aggiungo qui l’isola di Pianosa e le sue acque, dicono quintessenza della bellezza delle acque marine, a cui però non è facile arrivare in agosto, perché l’agenzia che organizza la gita in barca, unica nell’isola (almeno da quanto siamo riuscite a sapere) da copione ha le prenotazioni già piene da tempo. Mio personale rammarico non aver familiarizzato sufficientemente con l’anima mineraria che connota l’isola, pur avendola fortemente intuita attraverso le rocce e i richiami costanti alle miniere e alla vita dei minatori.
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Amo talmente l’autunno da non poterne parlare, come per un amante di cui non si possono metter in piazza dettagli di assoluta intimità. Ho bisogno, ogni anno, di scendere nell’inverno, nel suo silenzio, nel suo caldo artificiale che mi da il senso del freddo con cui tutti conviviamo a certe latitudini dell’esistenza. La primavera… scusate sono umana, non posso non essere travolta dal suo risveglio delicato e inesorabile, in ogni angolo del globo (a emisferi alternati) .
Con l’estate ho un problema. L’estate mi da gioia e luce a dismisura, talmente fuori misura che negli anni ha creato qualche imbarazzo. Il caldo mi stordisce, nel senso vero del termine, e non necessariamente positivo.
Nelle sere di amarcord con le mie amiche di gioventù, si narra ancora di mitologiche insolazioni nel bel mezzo di vacanze studio a Malta, al largo del mare delle Canarie nel corso di coraggiose esplorazioni in canoa a mezzogiorno d’agosto, come di boccheggianti escursioni nei deserti dell’Africa del Nord e di corpi color aragosta su indimenticate corriere blu anni ’90, di ritorno da sfrontate giornate di mare, spiaggia libera, senza ombrellone.
Con l’età che amiamo chiamare della maturità – decidete voi quando inizia, perché personalmente ho perso memoria dell’ingresso – ho iniziato a scegliere sempre più vacanze autunnali, anche nel cuore dell’estate, paesi freddi o emisfero opposto, per poi incontrare le mie amiche al ritorno e raccontarci le nostre estati spesso diametralmente opposte davanti a una pizza romana settembrina, maglietta di filo – maniche lunghe.
Insomma, ho un problema con l’estate: mi manda in estasi a guardarla, ma esistenzialmente ho sempre avuto l’impressione di non averne pieno accesso, se non dopo le ore 18. Come tutto nella vita, non è un problema solo fisico, anche se è il fisico mandare i primi segnali di allarme: “soggetto poco resistente all’estate”.
Buon autunno, a chi legge ora , sul finire dell’estate.
“C’era, ormai, come un rumore speciale, un fruscio di germogli che saliva dall’Archivio, che dopo tanti anni si riempiva di storie di italiani; un rumore che era fatto di questo insieme di voci di tanti “senzastoria” che raccontavano la storia di un popolo . E noi avevamo il privilegio di ascoltare questo rumore speciale”. (Saverio Tutino, fondatore Archivio Diaristico Nazionale)
[Da qualche parte bisognerà pur cominciare, e io comincio da qui]
La prima cosa che mi colpisce è che il Piccolo museo del diario è ospitato da un Palazzo “resistente”:Il Palazzo Pretorio, sopravvissuto alla distruzione di Pieve Santo Stefano perché “graziato” dalla mina sottostante che non esplose.
Una strana, dolce ironia della Storia vuole che questa perla della memoria collettiva italiana sia nata proprio qui. Pieve Santo Stefano, cittadina di poco di più di tremila abitanti in provincia di Arezzo, fu infatti completamente minata e rasa la suolo dalle truppe tedesche nel 1944, dopo essere stata evacuata.
Del borgo originario non restano che pochissimi elementi architettonici, tra cui il Palazzo Pretorio, che ospita contemporaneamente il Municipio e, dal 2013, il Piccolo museo del diario. Nella piazza adiacente, si troval’Archivio Diaristico Nazionale che, per una grandiosa intuizione del giornalista Saverio Tutino e grazie al lavoro instancabile di volontari e appassionati, dal 1984 raccoglie diari, lettere e memorie delle persone italiane. E, insieme alle loro storie, custodisce la nostra storia, le sue luci, le sue ombre, la sua umanità profonda e complessissima. Ad oggi circa 8000 i documenti conservati in Archivio.
Ho visitato il Piccolo museo del diario nel giorno del mio compleanno, perché il diario per me è la vita celebrata in parole e ne ho uno(o meglio decine) da quando sono nata alla scrittura. Non voglio descrivervi il museo, perché è un posto dove dovete andare. Voglio piuttosto suggerirvi di andare a Pieve Santo Stefano e visitare il Piccolo museo del diario, per vari motivi.
Andate se amate le parole, se amate le storie, se amate la vita, fuori da ogni retorica e semplice entusiasmo, andate se non la capite e se sospettate che mai esisterà un codice di condotta per viverla “in normalità”. Se vi sentite poveri in immaginazione, se avete vissuto n vite immaginarie in parallelo a quella che noi tutti vediamo quando vi affianchiamo per ore, giorni, anni, andate se credete che la realtà superisempre l’immaginazione, ma ancora (vi assicuro) non potete sospettare di quanto.
Se seduti sull’autobus vi trovate a chiedervi cosa scorra nella vita della persone sedute accanto a voi, dal viso stanco o dallo sguardo radioso,se con la genuina passione dei lettori o dei cinefili pensate che le più grandi storie che avete conosciuto siano quelle raccontate nei capolavori del cinema e della letteratura ma non temete di essere smentiti.
Se credete che l’unica vera materia prima degli scrittori sia la vita, dovreste venire ad ascoltare queste pagine parlanti, di ogni età, colore, orizzonte valoriale, dottrina politica, fedina penale, Di donne che hanno avuto il coraggio di esigere rispetto per i propri diritti nell’Ottocento come oggi, di donne che nella casa acanto alla nostra lottano contro la violenza, contro la nevrosi, contro la monotonia. Di uomini che hanno commesso i più efferati crimini, di ragazzi che li hanno subiti e hanno dato la vita per la libertà di altri, di adolescentiche scoprono la magia della musica e il fuoco dell’arte, di giovani che sperano nel futuro e raccontano il presente, di padri di famiglia, in carcere, che hanno rubato, ammazzato e tornerebbero a farlo.Di persone analfabete che raccontano la più grande epopea, di donne e uomini dalla creatività straordinaria che raccontano, raccontano per amore della vita, per dovere di memoria, per non morire del tutto.
Camminando in questo piccolo, ma densissimo museo conoscerete Clelia e Anteo, Luisa, Vincenzoe molte altre storie.
Clelia Marchi, autrice del Lenzuolo ” Gnanca na busìa – Il tuo nome sulla neve”
Aprirete dei cassetti che vorreste forse non aver aperto perché quello che troverete ve lo porterete dentro per molto tempo e forse per sempre. Forse, andrete lì perché amanti della scrittura e avidi delle infinite storie che sa raccontare e incontrerete la Storia, con il suo inesorabile giudizio sospeso sulla vita degli uomini e delle donne che la attraversano.
La grande magia di questo piccolo posto è tutta qui. Ti consegna la Storia sotto sembianze che non ti aspetti, così che ti travolge attraverso le sue migliaia di storie mai banali, travagliate, sofferenti e profondamente inaspettate. Richiama la tua piccola vita alla Storia e ti fa sentire un po’ più vicino agli altri, nel tempo e nella società che attraversi senza averlo scelto.
Vincenzo Rabito, autore del diario di vita “Terramatta”
All’attività dell’Archivio è collegato il Premio Pieve per la Diaristica. Ogni anno, a seguito del giudizio di una Giuria popolare e di una Giura “tecnica” , il premioviene assegnatoa un’opera che sarà poi pubblicata
Probabilmente vi verrà voglia di leggerli tutte Io alla fine ho riportato a casa Terramatta –diario di una vita scritto da Vincenzo Rabito, cantoniere semianalfabeta, nato a Chiaramonte Gulfi, in provincia di Ragusa nel 1899 (edizioni Einaudi).
Per ora lo sta leggendo mio padre, ma nelle vacanze di Natale sarà sul mio comodino.
——
Post Scriptum: Ho omesso di raccontare i particolari dell’esposizione e di mostrare foto perché il mio consiglio è di non leggere troppe descrizioni prima della visita. (Considerate che c’è una guida strepitosa in loco, che si chiama Luigi).
Può essere tuttavia utile qualche indicazione sul “come fare per”.
Pieve Santo Stefano dista da Roma poco meno di tre ore di macchina.
Il Piccolo museo del diario si trova nel Palazzo del Municipio, nella piazza principale del paese, che è ad oggi molto piccolo. Il museo raccoglie una minima selezione di materiali provenienti dall’Archivio, resi fruibili in format del tutto particolari. Accessibile da piazza Plinio Pellegrini 1, il museo è aperto al pubblico dal lunedì al venerdì (giorni feriali), dalle 9:30 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 18:00. Sabato, domenica e festivi è aperto di pomeriggio dalle 15:00 alle 18:00. In alcune date dell’anno il Museo è chiuso. Per accertarvi di questo e per ogni altra info il sito: Piccolo museo del diario].
Il Piccolo museo del diario è davvero molto piccolo, ma molto denso e vi consiglio di non rifiutare l’offerta della visita guidata, di una ricchezza estrema. Calcolate non meno di due ore per una visita mediamente approfondita, che può durare anche di più se volete curiosare e godere di tutti i materiali disponibili.
L’Archivio Diaristico Nazionale, aperto per consultazioni e ricerche, si trova nella Piazza immediatamente adiacente. Tutti i documenti che arrivano ogni anno da tutta Italia, vengono esaminati, catalogati per anno di arrivo e conservati in questi armadi. [Tutte le info sul sito: Fondazione Archivio Diaristico Nazionale]
Le persone che curano il Piccolo museo del diario sono squisite, estremamente appassionate, preparate e disponibili, Per questo, vi consiglio di rivolgervi a loro se avete intenzione di fare ricerche o avere informazioni più dettagliate.
Se pensate di dormire nei paraggi, considerate che Pieve Santo Stefano si trova immerso nella Valtiberina, a due passi da Sansepolcro.