Pensieri apocalittici e disintegrati da questo isolamento

In questi giorni come in un rigurgito universitario mi tornano in mente  la Scuola di Francoforte, la società del consumo e l’individuo eterodiretto.  Dal mio divano, sul quale staziono fino a data da destinarsi (quando non sono alla scrivania).

My quarantine

Strane associazioni in un periodo in cui la sfera del moriniano loisir è decisamente compressa.

Eppure questo magone insieme a una sensazione di profonda lucidità mi si è installato dentro, da qualche parte tra il cervello, il cuore e lo spirito fin da subito.
Per settimane non ho trovato le parole per descrivere questa quarantena. Tuttavia da subito mi ha colpita un’impressione forte di qualcosa che non riuscivo a ben rappresentare. E probabilmente non ci riuscirò neanche ora, perché la avverto intimamente connessa a uno stato di silenzio necessario.
Probabilmente è stato proprio il silenzio, il grande assente, a colpirmi.

Il vuoto a fronte di questo pieno forzoso, che ci assale da ogni dove, da ogni dispositivo lasciato acceso. Come una spia a intermittenza continua dentro di noi che, angosciosa, ci chiede se mai potremmo veramente, seriamente spegnere il nostro smartphone, senza fare finta, senza continuare a essere scansionati finanche nel sonno.

Il mio bisogno primario al momento sembra essere il silenzio, e mi trovo a pensare a quanto buffa sia questa situazione, in cui proprio in tempo di isolamento il silenzio è merce tanto rara.

“Così poco abili anche noi a non dubitare mai di una libertà indecente”*

Siamo diventati consumatori talmente abili da incanalare la nostra intera vita nei parametri del consumo. I social media, per quanto io non sia un’apocalittica, ci danno in questo una grossa mano. E proprio in questo periodo lo vedo con grande chiarezza, come dato di esperienza sociale, ben oltre ogni teoria dei media.

Siamo diventati consumatori talmente abili da vivere consumando la nostra stessa immagine attraverso gli occhi degli altri. I social hanno tanti, indubbi meriti, ma questo grande e grave demerito. Aver perfezionato il modello del consumo dei media di massa.
Mi ritorna così alla memoria la mia amata Scuola di Francoforte – non per ferree argomentazioni e teoria sistemica, la configurazione delle mia memoria lo impedisce – con il suo consumatore perfetto, espressione dell’antropologia moderna.

Ho come l’impressione che abbiamo necessità di consumare anche noi stessi per essere. Siamo soggetti fortemente oggettivizzati, per nostra stessa condotta. Il consumo è sostanzialmente il conduttore di molecole di ossigeno nella nostra bolla. Le molecole del senso si aggregano attraverso dinamiche di consumo. I consumi nella nostra bolla, di contenuto, di immagini, di proiezioni, di mi piace, non mi piace e vedi anche, ci legittimano a “restare nella bolla” e ci dicono sostanzialmente chi siamo attraverso l’elaborazione algoritmica e il feedback spesso frettoloso – ma più rilevante di quello che ammetteremmo a noi stessi – di altri.

Non più aspiranti consumatori di massa, consumiamo la nostra stessa bolla, di essa ci nutriamo con i mi piace che diamo e quelli che riceviamo, in un meccanismo di costruzione di identità quanto mai eterodiretto, che in maniera predittiva suggerisce e conferma il consumatore che siamo. Il tutto mentre siamo comodamente seduti (?) sdraiati (?) al bivacco spinto (?) sul divano di casa, fino a data da destinarsi.

“Voglio trovare un senso a questa condizione, anche se questa condizione un senso non ce l’ha”**

Perché tutto questo mi salga fortemente alla mente in questi giorni, resta in parte da decifrare, ma come  sempre è più per un’intuizione che per un ragionamento ben organizzato.

C’è un tale rumore in questi giorni, il lavoro che ha preso accelerate inimmaginabili, le dirette, i corsi gratuiti, le offerte di qualsiasi cosa e forma per scongiurare la nostra fuoriuscita dalla bolla e la noia. 

La nostra santa, sacrosanta noia di uomini liberi pur se soggetti a misure di isolamento forzato. 

Sappiamo vivere senza consumare? O meglio sappiamo dire chi siamo senza consumare o offrici in pasto al consumo di altri?

Sappiamo “stare”, senza perderci, quando non possiamo affidare alle dinamiche del consumo il veicolo della nostra identità? In queste settimane l’eco di queste domande è molto profonda, e forse un po’ subdola.
La mia personale risposta è “non ne sono molto sicura”.

Siamo intrisi del principio della prestazione, anche in questo tempo.  “Come stai vivendo questa quarantena?” “Cosa stai facendo per non sprecare questo tempo che cause di forza maggiore sembrano spingerti a perdere?”

Tornando a Morin e alla sua etica del loisir – semplificando, per l’uomo moderno non è il lavoro, in quanto produzione a definire l’identità ma il consumo di momenti ludici e ricreativi (loisir) – mi sembra che si stia consumando un cortocircuito tragico. E che la condizione che alcuni gruppi sociali vivono in queste settimane di lockdown faccia da cassa di risonanza perfetta, pur se con una certa discrezione (io stessa mi percepisco qui).

Siamo diventati i consumatori perfetti, perché la sfera della produzione e del consumo tendono a coincidere.

Il nostro tempo del loisir è sempre più sovrapposto a quello del lavoro, almeno per i lavori più fortemente collegati alla sfera della conoscenza. E’ un nuovo “spirito del tempo”, in cui ancora una volta i media da determinati sono diventati determinanti, influenzando il nostro modo di essere, laddove un mutamento tecnologico spinge verso una trasformazione culturale e sociale, azzarderei antropologica. 

Così i “divi hollywoodiani” che consumavamo negli anni dei mass media, rischiano di diventare i nostri ego, in questa vanagloria social che senza soluzione di continuità ci traghetta  nel nostro tempo e spazio virtuale, dal lavoro al tempo libero e rimbalzo.

“Da ciceronessa che spiega com’è bella com’è bella sé stessa”***

Sarà questa situazione estrema che mi spinge verso orizzonti estremi, sarà che ieri ho visto “The Great Hack” (il necessario documentario sull’affare Facebook e  Cambridge Analitica). Ma nella dinamica del consumo uomo – oggetto, mi sembra di vedere un rischio dilagante per cui il secondo termine della relazione possa diventare il – se stesso di ciascuno di noi, e in qualche modo cannibalizzarci. 

I dati che tu produci (in questa infoperformance collettiva e senza tregua, ndr) come un boomerang, possono determinare la persona che diventerai, a prescindere dalla tua volontà, concludeva David Carroll, in The Great Hack.

Perché tutto questo mi venga in mente nel 40qualcosesimo giorno di quarantena, in regime di virtualizzazione spinta delle relazioni, esattamente non so. Ma un’intuizione, disordinata come da mia natura, mi guida. 

—-

*”Cercami”, Renato Zero
**”Un senso”, Vasco Rossi
***”Mi riposa”, Lucio Battisti

Alcune letture di ispirazione in ordine sparso (edit 30 aprile)

Psicologia dei nuovi media di Giuseppe Riva (ed. Il Mulino)
La libertà ritrovata di Franck Schirrmacher (ed. Codice)
Lo spirito del tempo di Edgar Morin (in italiano ed. Meltemi)
L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse (ed. Einaudi)
WE, The City. Intelligenze civiche nella smart city (mio piccolo studio in cui ho condensato un po’ di spunti, qui: www.slideshare.net/ChiaraBuongiovanni/we-the-city-intelligenze-civiche-nella-smart-city)

In lettura
Accelerazione e alienazione di Hartmut Rosa (ed. Einaudi)
L’abisso dei social media. Nuove reti oltre l’economia dei like di Geert Lovink (ed Università Bocconi)

Suggeriti da voi
Minimalismo digitale. Rimettere a fuoco la propria vita in un mondo pieno di distrazioni di Cal Newport (ed. ROI) – Grazie Diara Diallo (via Facebook)
Avere o essere di Erich Fromm (ed. Mondadori) – Grazie Sergio Monetta (commento in diretta)
(…) vostri suggerimenti di lettura per assonanza di temi o per associazioni di idee, sono benvenuti!

2 risposte a “Pensieri apocalittici e disintegrati da questo isolamento”

    1. Ciao Anna,
      ho aggiunto una piccola lista di letture di ispirazione (senza alcuna pretesa bibliografica ovviamente). Lista aperta a suggerimenti e/o condivisione di testi e letture che richiamino pensieri e temi del post, rigorosamente in ordine sparso.

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