Resilienza digitale: quando non abbiamo più dati da perdere

Pur sempre affascinata dalla scienza, complice la mia fantasia indisciplinata e il più delle volte controproducente, sono stata spesso accusata di aggiungere qualcosa di troppo e non propriamente verificato nelle rappresentazioni dei fenomeni.

Così, oggi che non ho più il mio amato-odiato Huawei P9, rovinosamente caduto e deceduto all’istante su un apparentemente innocuo prato romano, nella cornice seicentesca di Villa Doria Pamphili, mi sembra di avere più chiara davanti a me la struttura della mia memoria, da oggi amputata di circa due (forse tre) anni di vita immaterialmente tradotti in numeri, contatti, foto, video, chat, messaggi, note.

Nata sul finire dei ’70, ho sviluppato una certa familiarità con la memoria dichiarativa, la memoria procedurale, la memoria emotiva (…) ma qui mi trovo a fare i conti con un altro pezzetto della mia memoria: la memoria digitale (e con le domande di profonda fenomenologia applicata che ne derivano) . Cosa succede quando perdiamo la memoria digitale? La nostra memoria digitale, tutta esterna a noi e ai supporti su cui possiamo ancora esercitare un controllo?

Succede che viviamo un piccolo terremoto. Un piccolo, infinitesimale ma personalissimo “ground zero”. Punto di non ritorno o di ripartenza.

E la cosa che più mi sorprende è cosa possiamo quando la nostra memoria digitale viene così gravemente compromessa. Risposta: NIENTE.

Solo ricominciare. E stupirsi di quanto possiamo essere digitalmente resilienti, nel constatare che si tratta pur sempre di un nuovo, faticoso e un po’ doloroso inizio.

PS: la foto l’ho scattata in un bar, davanti al mio primo caffè in Nuova Zelanda, ad Auckland (lontano 2017). Riporta bene questa sensazione di fortissima libertà che la città mi ha regalato. L’ho scelta per associazioni varie e veloci di pensiero, perché ho l’impressione che, come (quasi) sempre succede con le cose da lasciare andare, la questione sia la nostra libertà dal digitale più che la nostra memoria digitale.

Forse dovrei cambiare il titolo.

2 risposte a “Resilienza digitale: quando non abbiamo più dati da perdere”

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